berlusconi scilipoti

(Public Policy / Strade) Openopolis informa costantemente circa i transiti di deputati e senatori da un gruppo parlamentare all’altro. Da inizio legislatura, il 26% degli eletti ha “cambiato casacca” almeno una volta, in “un giro di valzer che mese dopo mese continua a battere tutti i record”. Tali variazioni sono consentite dall’art. 67 Cost., secondo cui “ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”: egli è, quindi, libero di mutare il proprio orientamento politico senza con ciò perdere il proprio seggio, in quanto “non rappresenta il suo partito o la sua categoria, ma la Nazione nel suo insieme” (Mortati).

Tuttavia, il “transfughismo” ha di recente assunto dimensioni rilevanti, come visto: esso può non solo tradursi nella frammentazione dell’attività parlamentare, ma altresì alterare il necessario equilibrio tra la rappresentanza politica espressa dai partiti votati alle elezioni e le iniziative individualistiche dei singoli eletti. La percezione diffusa è che la libertà di mandato sia divenuta oggi strumentale a legittimare una mobilità parlamentare finalizzata non al perseguimento di interessi pubblici, secondo il dettato costituzionale, ma al soddisfacimento di interessi privati a seguito di accordi e trattative tra singoli e coalizioni; che ciò rappresenti una sorta di “tradimento” all’elettorato, con la conseguente disaffezione dei cittadini verso la politica nazionale; che la democrazia risulti così quasi “falsata”, poiché la sovranità espressa dal popolo alle urne viene poi vanificata dalle successive giravolte dei parlamentari. L’astensionismo elettorale conferma queste conclusioni.

Il “trasformismo” merita di essere considerato altresì per i profili concernenti l’utilizzo di risorse pubbliche: l’entità dei contributi economici ai gruppi – secondo quanto disposto dai regolamenti di Camera e Senato – dipende dal numero dei partecipanti e ciò può determinare fenomeni di “accaparramento” di parlamentari poco consoni a sane dinamiche democratiche. A ciò si aggiunga che, in concomitanza con la riduzione del finanziamento pubblico ai partiti, i gruppi utilizzano sempre più i fondi erogati da parte dello Stato per fini diversi da quelli previsti dai regolamenti (Openpolis ne fornisce evidenza). Il “transfughismo” è agevolato, tra le altre cose, dalla possibilità di deroga (cd. gruppi autorizzati) al numero minimo previsto per i gruppi (10 senatori o 20 deputati), nonché dalla costituzione di variegate e dissonanti “componenti politiche” del Gruppo misto, sì che “non sarebbero più i gruppi parlamentari a rappresentare la ‘proiezione’ dei partiti (PDF), ma viceversa questi sarebbero la conseguenza di quelli”. Nonostante la creazione di nuove formazioni possa essere determinata da cause non necessariamente da stigmatizzare, tuttavia – unitamente all’accentuato fenomeno migratorio – attualmente essa rischia di vanificare gli sforzi di “convogliare in un’ottica bipolare e maggioritaria la competizione politica” in vista di una migliore governabilità, compromettendo i meccanismi a ciò preposti.

Il quadro tracciato induce a cercare rimedi che arginino quel “nomadismo” determinato più da scopi meramente personali che da coerenza politica con i propri ideali, senza tuttavia limitare la portata garantistica dell’art. 67 Cost. e, quindi, la libertà del parlamentare: la Carta gli consente di “ragionare con la propria testa”; la Corte Costituzionale (n. 14 del 1964) afferma che egli non è tenuto a rispettare gli indirizzi del suo partito; i regolamenti di Camera e Senato gli consentono di esporre posizioni dissenzienti rispetto a quelle del gruppo di appartenenza. La revocabilità del mandato da parte degli elettori prima della scadenza, come accade negli Stati Uniti mediante l’istituto del “recall”, appare di difficile introduzione nell’ordinamento nazionale. Invece, differenti soluzioni offerte dai Paesi nei quali è presente il divieto di mandato imperativo possono essere praticabili più agevolmente.

In Germania, ad esempio, la normativa secondaria tende a dissuadere l’eletto dall’abbandonare il proprio gruppo parlamentare: l’attuale regolamento del Bundenstag richiede per la costituzione di una Fraktion sia un requisito numerico (minimo del 5 per cento dei membri del Bundenstag), che un requisito politico (i parlamentari devono essere stati eletti nelle liste del partito corrispondente alla Fraktion o in partiti che condividano la stessa linea politica e non siano concorrenti in alcun Länder). Possono costituirsi formazioni numericamente inferiori alla Fraktion, ma con diritti e competenze limitati, oppure si può non aderire ad alcuna frazione. E’ fatto divieto di passare da un Fraktion ad un’altra, salva la facoltà per il deputato di abbandonare la propria: in questo caso, tuttavia, egli subisce penalizzazioni di carattere finanziario e organizzativo. Anche in Spagna, specie nelle assemblee legislative delle Comunità autonome, specifiche disposizioni tendono a limitare fenomeni “migratori”. In particolare, il parlamentare non decade dal mandato in caso di allontanamento dal gruppo originario, né gli è vietato di transitare a un altro, ma subisce limitazioni nell’esercizio di alcuni diritti e una riduzione dei sovvenzionamenti pubblici in proprio favore.

In Italia potrebbe innanzitutto ipotizzarsi l’aumento del numero minimo richiesto per costituire i gruppi e l’introduzione di un necessario collegamento (ad esempio, come in Spagna e in Germania) tra essi e i partiti presentatisi alle elezioni (salvo ipotesi di scissioni o fusioni tra partiti e similari, dunque casi non riconducili a scelte “parassitarie”, ma a vere e proprie rotture politiche, come alcune avvenute nella storia nazionale): ciò consentirebbe, da un lato, di rispettare il quadro politico risultante dalle urne, dall’altro, di evitare la proliferazione di nuove formazioni parlamentari prive di identità elettorale.

Potrebbe inoltre vietarsi il “cambio di casacca” (mediante l’adesione a un gruppo esistente o il concorso alla costituzione di uno nuovo) nel corso della legislatura, introducendo contestualmente la figura del deputato “non iscritto” (presente ad esempio in Francia e in Belgio), vale a dire colui il quale abbia lasciato il gruppo originario: egli godrebbe delle prerogative di tutti i parlamentari, ma non di quelle connesse all’appartenenza a un gruppo, restando così privato – almeno parzialmente, ma in misura idonea a consentirgli comunque l’effettivo esercizio del mandato - di contributi economici e supporti organizzativi, alla stregua di quanto avviene nei Paesi sopra richiamati. Conseguentemente, verrebbe meno la necessità della collocazione del transfuga presso il Gruppo misto.

Ciò permetterebbe cospicui risparmi di fondi pubblici, considerato che tale Gruppo, sempre più ipertrofico dato l’alto numero delle recenti migrazioni, percepisce sovvenzioni sostanziose, determinate in base al numero e alla consistenza delle relative componenti politiche: ma il suo ruolo di enorme “contenitore” di fuoriusciti fa sì che dette sovvenzioni, ancorché finalizzate all’attività parlamentare e a quelle ad essa connesse, appaiano piuttosto funzionali a fornire un’entrata economica a chi cambia schieramento. Le misure esposte – che parrebbero compatibili con l’assenza di vincolo di mandato ex art. 67 Cost. - potrebbero disincentivare il fenomeno del “nomadismo” e risultare altresì idonee a valorizzare l’istanza dell’elettorato che il voto non si risolva in una mera delega in bianco, ma nella scelta di un indirizzo politico determinato: coloro i quali sono stati eletti con l’obiettivo di perseguirlo resterebbero comunque liberi di mutare orientamento, ma in parte sprovvisti dei mezzi di cui godevano in forza dell’inserimento in un gruppo. La soluzione proposta, infine, avrebbe il vantaggio di non richiedere modifiche alla Carta costituzionale, ma solo ai regolamenti di Camera e Senato.

Diversi disegni di legge recentemente presentati contengono una disciplina generale dei partiti, mirata anche a riavvicinare i cittadini alla politica mediante regole chiare e condivise. Esse non potranno tuttavia risultare efficaci se non accompagnate da una contestuale revisione delle norme inerenti ai gruppi che operi nella direzione sopra indicata, considerato il ruolo di tramite svolto da questi ultimi tra la rappresentanza politica esercitata dei partiti (art. 49 Cost.) e quella nazionale attribuita a ciascun parlamentare (art. 67 Cost.), come visto. Occorre restituire agli individui la fiducia di poter concorrere concretamente alla politica del Paese: limitare i transiti tra i gruppi – nonché imporre una maggiore trasparenza alla gestione delle risorse loro assegnate, ulteriore tema rilevante – può giovare a tale risultato.

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