Non c'è nessun attacco alla famiglia da parte di chi, come me, ritiene urgente e doveroso arrivare anche in Italia al pieno riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. Questo è un “non argomento”.

Riconoscere - non inventare o fomentare, ma semplicemente riconoscere - le forme di convivenza stabili, che si sono negli anni affiancate alla famiglia come la conoscevamo, non inciderà per nulla sulle scelte delle coppie eterosessuali; ma se mai una legge sulle unioni gay non ipocrita e reticente dovesse indirettamente incidere su di esse, è più logico attendersi una maggiore e non minore attrazione dell’istituto del matrimonio e un’attenzione più responsabile ai diritti e ai doveri della vita familiare. Il dibattito sulle “nuove” famiglie fa bene alla famiglia.

Le esperienze dei Paesi dove è già stato introdotto il matrimonio gay mostrano che da questo non è derivato alcuno sconvolgimento sociale o giuridico della famiglia cosiddetta tradizionale, ma è cresciuta la consapevolezza delle sue reali necessità, sia in termini fiscali che di welfare. Dove non si guarda alle famiglie con le lenti dell'ideologia, alla fine assistiamo a un win win game tra tradizione e innovazione sociale e familiare. Dove, come in Italia, sulla famiglia da quasi cinquant’anni (la legge sul divorzio è del 1970) si combatte una guerra di religione strisciante, ad averci perso sono proprio le famiglie, tutte le famiglie.

La famiglia non è stata “distrutta” dal divorzio e non lo sarà neppure dalle unioni civili. Anzi, il divorzio aprì la strada a una riforma del diritto di famiglia che stabilì, per la prima volta, la piena uguaglianza dei coniugi nei rapporti reciproci e verso le responsabilità familiari, nonché, dopo un lungo e tormentato percorso, anche la piena uguaglianza dei figli, senza distinzione tra legittimi e naturali.

Il nostro sistema giuridico non è una monade. Può forse restare impermeabile ai mutamenti e alle nuove consapevolezze sociali degli italiani. Ma non può rimanere impenetrabile al quadro di diritto europeo, senza cadere rovinosamente in contraddizione rispetto a principi e diritti cui il nostro Paese ha scelto di aderire e che non può “sovranamente” derogare. È già avvenuto con la legge 40 sulla fecondazione assistita e accadrà presto anche su questo tema, se non aggiorneremo la nostra legislazione. E anche in questo caso le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo e magari quelle della Corte di Giustizia dell’Unione europea del Lussemburgo non saranno ingerenze nei nostri affari interni, ma conseguenze dei nostri colpevoli ritardi.

Quanto al tema controverso della step child adoption, sarebbe bene ragionare avendo contezza di quanto è possibile e legale fuori dall'Italia e soprattutto memoria di quanto è sempre avvenuto, anche in Italia, con forme di maternità e paternità surrogata, ma in forma per così dire “naturale” e senza alcun ricorso alle provette. Per quante e fondate riserve si possano avere verso ogni forma di shopping procreativo è impensabile che per porvi rimedio si sacrifichino i diritti dei figli di genitori gay, che comunque concepiti vivono la vita in una famiglia e, nel caso della morte del genitore naturale, rischiano di diventare giuridicamente orfani senza esserlo davvero e di essere strappati da una vita di relazioni e di affetti conosciuta per essere affidati, nella migliore delle ipotesi, ad una sconosciuta famiglia “normale”.

Anziché lasciare che siano i ricorsi e le sentenze ad adattare alla realtà e alla ragionevolezza una legge che per essere inflessibile rischia di diventare disumana, sarebbe bene limitarsi a regolare quanto accade e continuerà ad accadere, nonostante le gride del Parlamento italiano. Soprattutto nei confronti dei bimbi, che comunque nasceranno e devono potere avere diritti e felicità, anche se qualcuno li giudica "sbagliati".

@bendellavedova