oceania film

E’ stata mia figlia Alice ad accorgersene dall’altezza magica dei suoi sette anni di vita e, quindi, di vera e ‘nativa’ cultura Anime: alcuni disegni di Oceania della Disney-Pixar risentono felicemente dell’influsso del maestro dei cartoons giapponesi, Hayao Miyazaki. 

Sia l’immagine dell’Oceano vivente che assume le forme di onde antropomorfe e partecipi della vita degli umani, sia la forza primigenia della Dea/Madre/Creatrice che atterrisce e protegge allo stesso tempo, che è inizio e fine della Storia.

Forme e messaggio, dunque, assorbite dalla letteratura nipponica, da una letteratura che, a sua volta, si è spesso interfacciata con le fantasie occidentali, con i voli pindarici di uno “straniero” presto assimilato in quanto portatore, in fondo, di istanze universali. E ciò è vero quanto è vero il fatto che Mihazaki – per dirne una - ha dato nome Ghibli alla propria celeberrima casa di produzione cinematografica proprio perché “Ghibli” è il nome che, durante l’ultima Guerra Mondiale, i piloti italiani in Nord Africa diedero ad un vento caldo proveniente dal Deserto del Sahara, e fu anche il nome usato per indicare i loro aeroplani da ricognizione.

In fondo, anche questo è Occidente: la capacità, la volontà di un interfacciarsi reciproco goloso di novità, pronto al furto ma anche vittima di feconde spoliazioni; spesso inintenzionale terreno di nuove germinazioni per il lavoro oscuro di estranei, appunto, divenuti prossimi, amici. 

Ed è per questo che il nazionalismo è davvero la malattia d’Europa e d’America, un virus oggi, di nuovo, endemico che, però, tale rimane: un corpo estraneo e di successo incistato su uno spirito, al contrario, aperto: felice e storica coniugazione di Terra e Mare, di conquiste fatte e subite.

Non per nulla l’universalismo ha patria qui. E non penso solo ai mitici principi della rivoluzione francese ma all’universalismo Romano, a quello della Chiesa, alle rivoluzioni della libertà inglese e statunitense. In tale contesto, infatti, che senso hanno i muri? Il filo spinato? L’argine tragico e ridicolo ad un movimento popolare che è sempre biunivoco e che, come tale, porta sconfitte ma anche vittorie, contaminazioni ed assimilazioni per lo più arricchenti, sempre incidenti, in questo caso come “proprio”, su uno spirito (che è quello di Ulisse) in movimento, mai pago delle assunzioni tradizionali, delle terre per ora emerse. Così, da questo spirito Nietzsche ne trasse la considerazione secondo la quale non sarebbe lecito derivare dall’arresto, dall’appollaiarsi stanco del ‘vecchio’, la conseguenza che non c'è più nulla dinanzi, nessuna immensa, libera via, che si è giunti tanto lontano quanto è possibile volare: per fortuna altri uccelli voleranno oltre!

Come Il gabbiano Jonathan Livingston, ad esempio, paradigma di un volo – come quello di Ghibli - e di un’azione che va oltre la necessità, oltre la fame e la sazietà e che è solo declinabile come libertà, ricerca e scoperta, anche dell’altro, del diverso, del possibile conquistatore che allo stesso tempo è da sempre conquistato, anche quando attacca, anche quando terrorizza e contesta. Perché il colpo di coda del drago, la freccia del Parto, è sempre il pericoloso ultimo atto dello sconfitto dalla Storia, di chi è superato intimamente da un cultura che è sempre più globale, sempre più liberante.

Per questo Trump ed Orban non sono autenticamante Occidente, per questo Václav Havel - vero katechon (l’argine all’anomia di cui parla San Paolo nella seconda Lettera ai Tessalonicesi) liberal democratico - dopo avere sconfitto il comunismo russo non si arrese al nazionalismo ceco e slovacco e lottando come un leone vide sfaldarsi in un nuovo Oriente identitario e di caste l’afflato di una Praga capitale europea etica più che etnica.

Tornando ad Oceania, i puristi sottolineeranno la copiatura, stigmatizzeranno il furto e l’illegittima rielaborazione – come anche in passato per il Re Leone Disneyano e il Kimba, Leone Bianco, celebre anime degli anni 70 – ma che senso ha? Che senso ha la primogenitura? L’ordine temporale in una contrapposizione eterna, quella tra Occidente ed Oriente, che diviene (da sempre) futuro di meticciato e possibilità nuove solo quando si aprono le terre di confine, si temperano i dazi, crollano i muri dell’indecifrabilità di quelle res mixtae che sono, soprattutto, indecidibili, come il plagio del plagio o la novazione terza.

Certo, c’è il terrorismo, c’è la rivolta degli accolti, dei ghettizzati per umanitarismo e spoliazione, dei privati di cittadinanza borghese ed assurti al paradiso infernale delle protezioni internazionali, di un diritto “umano” che toglie prima di dare, che pareggia ogni asperità come ogni speranza di veri diritti e veri doveri: quelli che sorgono dal contratto, dal lavoro, dalla proprietà, da quella Società Aperta che è la vera eredità di Occidente, il vero sogno del Sud del Mondo, l’incubo crociato dell’Oriente estremista.

A questo terrore non si può che opporre Oceania: la furbizia Disney, la scienza Pixar, l’anima Manga, la nostra cultura bastarda, il sogno oceanico, appunto, di un mondo nuovo perché davvero antico, tanto da confondere il piano dei ricordi, tanto da rendere possibile l’invenzione dell’inatteso e del meraviglioso, senza il conflitto sterile del prima e del dopo, di una cronologia assurda nell’ambito di un eterno Occidente che lascia la sicurezza ctonia della terra di mezzo per divenire tutt’insieme “pirata” e fattore di libertà.