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In una testimonianza, raccolta insieme ad altre nel libro "L’inganno di Enrico Berlinguer" di Domenico Del Prete, Claudio Petruccioli ricorda un'importante sessione del Comitato Centrale del PCI che iniziò a Botteghe Oscure il 3 luglio del 1979, un mese dopo lo svolgimento delle elezioni politiche nelle quali il partito, ancora impelagato nell’esperienza della Solidarietà Nazionale, aveva perduto il 4% pari a 1,5 milione di voti rispetto al grande successo delle consultazioni precedenti.

Il ritardo di un mese nell’esaminare i motivi della sconfitta fu dovuto al fatto che nel frattempo vi erano state le prime elezioni dirette del Parlamento Europeo. La relazione di Enrico Berlinguer era di ben 75 cartelle e venne pubblicata integralmente sull’Unità (come le sue conclusioni dopo 3 giorni di discussione). Gli interventi furono 75 e di essi fu data sintesi sul medesimo quotidiano. Pur con tutti i suoi difetti, questa era la tempra del PCI.

Il Partito Democratico, insieme con la sinistra DC (consumando così il grande amore incompiuto durante la Prima Repubblica) ne ha ereditato le spoglie dopo che il PCI aveva cercato di salvarsi dal crollo del Muro di Berlino cambiando nome e identità. Ma il PD non ha nulla da spartire con lo stile del de cuius. Il 4 marzo i Dem hanno più che dimezzato l’esito del voto del 2014 nelle elezioni per il Parlamento europeo. Si dirà – con qualche ragione – che quello fu un voto dopato dalla prebenda degli 80 euro. Anche prendendo a riferimento il risultato delle elezioni politiche del 2013 risultano pur sempre 7 punti percentuali in meno, a conclusione di un ciclo di sconfitte in tutte le consultazioni parziali svolte negli ultimi anni.

Ma, nonostante tale sfacelo, nel PD non succede nulla, ad eccezione di una tregua della rissosità interna che ha portato all’immobilismo. Matteo Renzi, che resta il maggiore azionista del partito, si è messo a dirigerlo dai campi di tennis (che sono divenuti la sua Isola di Caprera) e dagli studi televisivi. Intervenendo sul voto di fiducia al Senato l’ex premier ha saputo soltanto dire alla nuova maggioranza che ora tocca a loro svolgere, volenti o nolenti, il ruolo della casta (come se intendesse confermare la linea politica, di stampo populista, con la quale pensava di tagliare l’erba sotto i piedi dei grillini).

Nei giorni scorsi, un intellettuale di vaglia come Michele Salvati ha pubblicato su Il Foglio un lungo saggio in cui si prodigava in preziosi consigli al PD in vista e nell’ambito di una campagna congressuale chiamata a rifondare la visione della società e dell’iniziativa politica, affidandone l’attuazione a un nuovo leader e ad un altro gruppo dirigente. Fin da quando eravamo ragazzi ci hanno spiegato che, in politica, non vi sono ultime trincee e che i cambiamenti di scenario possono anche verificarsi in breve tempo. Non è detto, però, che i processi ed i fenomeni in atto si fermino ad attendere che il PD si dia una direzione di marcia. Ancorchè convocato in tempi ravvicinati, la risposta del Congresso rischia di essere tardiva. C’è sempre un primum vivere che precede e condiziona il deinde philosophari.

La domanda è: quale linea di condotta terrà il PD quando il governo giallo-verde comincerà a dare corso al suo programma? Oggi gli esponenti Dem, ospiti dei salotti televisivi, sanno giocare solo di rimessa: ora evocano la questione delle coperture (un problema che si sta ridimensionando insieme con l’adozione di un’accentuata gradualità imposta alle misure più onerose e demagogiche); ora imputano ai nuovi governanti di non tener fede alle promesse fatte all’elettorato.

Ma come agirà il PD quando si passerà alla manomissione della riforma Fornero e magari anche del jobs act, al salario minimo legale, all’avvio del reddito di cittadinanza, alla richiesta di maggiore flessibilità nei saldi di bilancio oppure – passando ad altri campi – a stravolgere il diritto penale e processuale penale (tutti sono colpevoli fino a prova contraria) in nome della lotta alla corruzione, a mettere ancora di più alla gogna la politica e le istituzioni e a promuovere iniziative propagandistiche verso i migranti? Presterà attenzione all’aria che tira nell’elettorato, a ciò che pensa gran parte della sua base (in fondo sulle pensioni il contratto ha recepito le proposte di Cesare Damiano) oppure si schiererà decisamente contro anche sfidando l’impopolarità?

Su questi terreni, il PD di Matteo Renzi ha commesso in proprio degli errori risultati fatali. Il più esiziale è stato quello di gettare abbondante pastura negli acquitrini maleodoranti in cui sguazzavano i coccodrilli dell’antipolitica, dell’euroscetticismo, del sovranismo e di quant’altro di pernicioso stava crescendo nei bassifondi di una società di sobillati da media sfascisti: ciò allo scopo di rabbonirli, mentre invece, essendo nutriti, diventavano sempre più grandi e feroci.

Da premier, Renzi ha agito in Europa come un ragazzino impertinente. Così l’Italia aveva perso influenza nella Ue, per fortuna in parte recuperata da Paolo Gentiloni, quando ormai era troppo tardi per correggere i guasti. Per opporsi alle misure del contratto il PD dovrà schierarsi fino in fondo con la Ue, sfidando un clima di patriottismo da Bar Sport che sta circolando lungo la penisola. Diventerà, allora, necessario far dimenticare agli italiani che Matteo Renzi fu il primo ad avviare la polemica contro l’austerità (che da noi non è mai stata applicata almeno nella XVII Legislatura), a proferire minacce e ritorsioni, ad umiliare l’establishment europeo con nomine discutibili a posti di alta responsabilità, a sprecare in mance elettorali l’ammontare di risorse che l’Unione aveva riconosciuto all’Italia, in nome della flessibilità di bilancio, per fare fronte alle tragiche conseguenze del terremoto e come risarcimento dell’essere in prima linea nell’accoglienza dei profughi.

La risposta a questi dilemmi non può non partire dall’analisi dei motivi che hanno determinato la sconfitta del 4 marzo. Sono state sbagliate le politiche sul lavoro e sul welfare? Se questa è la spiegazione principale diventerà difficile contrastare l’azione del governo Conte nelle suddette materie. Renzi era divenuto antipatico agli italiani? Se è così occorrerà dargli il benservito. Sono state fatte delle cose importanti, ma insufficienti? Ecco allora quanto deve essere messo in cantiere per implementare quei provvedimenti, evitando, però, proposte simili a quelle della maggioranza.

La vicenda Aquarius è stata giocata bene, con irresponsabilità e cinismo (e fortuna) da parte di Salvini. Si è avvertito il consenso che quell’azione ha suscitato in un Paese che ha trasformato in reale il percepito (anche perché per anni i media hanno fatto di tutto per scambiare la percezione della realtà con la realtà). Se la sente il PD di andare a dire – dati alla mano – che l’invasione non esiste, che la comunità straniera più numerosa in Italia è quella dei rumeni, i quali sono cittadini Ue? Le "anime belle" agognano di ritornare tra il popolo delle periferie. Il fatto è che le uniche parole che, colà, vogliono sentire sono: fora i negher.