È opinione diffusa che il Governo stia fondando la sua attività e sopravvivenza su proclami anziché su fatti. Il comportamento assunto dall'esecutivo in occasione della preconizzata abolizione delle Camere di commercio ne è evidente dimostrazione. Al Punto 29 del documento redatto dagli Uffici di Palazzo Chigi, volto a delineare le linee di rilancio della Pubblica amministrazione, si prevedeva l'eliminazione dell'obbligo di iscrizione al registro delle imprese.

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Per contro nel successivo disegno di legge di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche si dispone tra l'altro, all'articolo 9, la delega al Governo per il riordino del sistema camerale e, in particolare, la riforma dell'organizzazione, le funzioni ed il finanziamento delle Camere di commercio, prevedendo anche l'eliminazione del diritto annuale a carico delle imprese, la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali delle Camere stesse, la riduzione del numero dei componenti degli organi e dei relativi compensi, il trasferimento al Ministero dello sviluppo economico delle competenze relative al registro delle imprese e l'eliminazione delle duplicazioni di attività con altre amministrazioni. La stessa norma prevede che la disciplina transitoria dovrà assicurare la sostenibilità finanziaria del processo di riforma e il mantenimento dei livelli occupazionali. 

Dal dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione del Ministero dello sviluppo economico e, segnatamente, dalla Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica, è stata inoltrata alla Commissione affari costituzionali del Senato - che la sta esaminando, in prima lettura - una nota integrativa (n. 173485/'14) della relazione tecnica del provvedimento in parola. Dal documento emerge che la Direzione generale aveva fatto presente, sin dalla fase di concertazione interministeriale della proposta legislativa in questione, che la stessa potesse essere ritenuta effettivamente priva di effetti finanziari negativi sul bilancio dello Stato e compatibile con la previsione nella stessa contenuta di mantenimento dei livelli occupazionali e sostenibilità finanziaria per gli stessi enti in questione, solo a condizione che nei conseguenti decreti legislativi (che altrimenti sarebbero essi privi di copertura finanziaria adeguata) fosse previsto che:

- l'eliminazione del diritto annuale sia di molto differita nel tempo, per renderla coerente con i tempi inevitabilmente lunghi di una riduzione di personale graduale, attuata attraverso i normali strumenti di blocco delle sostituzioni e di mobilità fra enti;

- le cessate entrate da diritto annuale, nel quadro della riforma del sistema di finanziamento delle Camere di commercio, poiché non possono trovare totale compensazione nelle auspicate riduzioni di costi di personale e funzionamento siano almeno in parte sostituite da nuove entrate (tariffe, diritti di segreteria) a completa copertura dei costi standard dei servizi mantenuti nell'ambito di competenza degli enti e dei connessi costi di personale a regime;

- l'attribuzione al MISE della competenza relativa al registro delle imprese non sia in alcun modo inteso come totale trasferimento di funzioni e delle relative risorse umane e finanziarie (soluzione inattuabile ed insostenibile), ma solo come maggiore centralizzazione ed uniformità a livello nazionale del sistema di regole che governa il funzionamento di tale registro, ferma restando la gestione nell'ambito del sistema delle Camere di commercio.

In merito a quest'ultimo punto la nota della Direzione generale del MISE indica che il trasferimento delle funzioni in capo al Ministero medesimo comporterebbe anche quello delle risorse umane, strumentali e finanziarie, con effetti decisamente insostenibili e che, inoltre, il dicastero non dispone delle competenze per gestire direttamente il sistema informatico centralizzato né potrebbe acquisire nei propri organici il personale. Il sistema camerale, infine, è dotato di una capillare rete di sportelli presso tutte le sedi provinciali e presso numerose sedi distaccate infra-provinciali. Il Ministero, per poter garantire analoga copertura territoriale dovrebbe prevedere la riapertura degli uffici periferici provinciali (UPICA) dell'allora Ministero dell'industria del commercio e dell'artigianato, soppressi oramai da anni.

Non è dato sapere se tale relazione abbia colpito nel segno o vi siano altre motivazioni che hanno indotto l'esecutivo a modificare in corsa l'obiettivo. Fatto sta che il Ministro per lo sviluppo economico Guidi, unitamente al Ministro per la pubblica amministrazione Madia ed al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Delrio, presenti ad una riunione del comitato esecutivo allargata di Unioncamere hanno rivisto il tiro hanno prospettato che, per il riordino complessivo del sistema delle Camere di Commercio, si dovrebbe procedere con una riduzione del numero delle stesse mediante processi di accorpamento per pervenire a un nuovo modello fondato sulla presenza di una Camera che comprenda almeno 80.000 imprese.