Che senso ha, oggi, approvare una legge sulla rappresentanza di interessi? L'interrogativo sorge dopo aver visto fallire, nel corso delle Legislature che si sono succedute, almeno trentacinque precedenti tentativi di pervenire all'approvazione di una legge volta a disciplinare la cosiddetta attività di lobbying. Anche la XVII Legislatura conta una molteplicità di progetti di legge, depositati presso le Presidenze di Camera e Senato, predisposti dalla gran parte dei Gruppi parlamentari, con la ribadita volontà di regolamentare l'attività in questione.

Stretta mano lobby

Tutto ciò nonostante in Italia l'espressione lobby, e la relativa attività di lobbying, abbia una connotazione negativa, dovuta in parte ai fiumi di inchiostro utilizzati in tal senso dalla stampa nazionale, in parte, invece, al fatto che il legislatore si sia occupato di tale attività esclusivamente da un punto di vista del suo rilievo penale. Difatti, con la legge 6.11.'12, n. 190 (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione), è stato introdotto nel codice penale l'articolo 346-bis - "traffico di influenze illecite" - identificando nell'ordinamento una nuova figura criminosa riconducibile, seppure solo per quanto riguarda i fatti maggiormente qualificati sul piano del disvalore, alla ridetta attività di lobbying.

Fonti ben informate riferiscono che, vigente il Governo Letta, si sia andati vicino alla definizione di un decreto da portare all'approvazione del Consiglio dei ministri. Ma anche in quell'occasione ha prevalso la spinta contraria. A buon fine è, invece, andata l'iniziativa del Ministero dell'Agricoltura volta ad istituire un registro per i portatori di interesse. A sentire gli operatori, però, esso risulta essere "un colabrodo" e, pertanto, non proprio un esempio da seguire.

Il registro è uno strumento che funziona bene presso le istituzioni europee (Commissione e Parlamento), ma mal si attaglia alla realtà italica. L'inutilità di tale strumento e dell'istituzione dello stesso presso le Camere diventa ancora più evidente se si considera il ruolo rivestito oggi dal Parlamento. Camera e Senato, infatti, sono organismi oramai svuotati delle loro competenze: le Assemblee si limitano sostanzialmente ad una sorta di recepimento di quanto altrove deciso (UE, BCE, Consiglio dei Ministri ecc.). A conferma di quanto sopra, si può citare l'esponenziale innalzamento del numero di ordini del giorno - quando l'unico che storicamente si ricorda è quello dell'on. Grandi che portò alla caduta del fascismo - presentati a corredo dei provvedimenti posti all'esame delle Camere, nonché la pervicacia con la quale i parlamentari si battono per veder approvare gli stessi, spesso esclusivamente con accoglimento a titolo di raccomandazione.

Non costituisce, altresì, nemmeno un debole segnale la riforma costituzionale in discussione in questi giorni, che prevede la sostanziale abolizione di una Camera e l'introduzione dell'istituto del c.d. "voto a data certa" che assicurerebbe una corsia preferenziale per la trattazione dei disegni di legge di iniziativa governativa.

Un'ulteriore riprova che vi è una tendenziale contrazione degli interventi parlamentari sulle leggi di iniziativa governativa è costituita dalla Legge di Bilancio, di prossima attuazione, ossia una legge che comprenderà sia il bilancio dello Stato sia la legge di stabilità e che - udite bene - non sarà modificabile da parte delle Camere.

Al di là di questo, comunque, e tornando all'attività di lobbying, sarebbe auspicabile, per un corretto funzionamento di una moderna democrazia liberale, che i rappresentanti di interessi venissero ricompresi, apertamente e "legalmente", nel processo decisionale, sia per ragioni di trasparenza, sia per il contributo che gli stessi possono apportare alla qualità della regolazione. A chi scrive non sembra, però, che i testi attualmente posti all'esame della Commissione Affari costituzionali del Senato siano orientati in tal senso.