Omicidio Voghera

Voghera è una cittadina civile, tranquilla, e tranquillamente immersa nella operosa Lombardia: ma un bel tomo, pure Assessore, pensa di andarvi in giro armato (il porto d’armi autorizza, non obbliga). E poi “ci scappa” il morto, peraltro disarmato e in atto solo molesto: in carico ai servizi sociali dello stesso Comune di cui il tomo armato è Assessore: “alla Sicurezza”. Aggiungono le cronache, con apparente innocenza e nonchalance, che lo “sparato” era “marocchino e pregiudicato”.

Ora, all’immagine della “Sicurezza di Voghera”, il pensiero, fatto “agro” da ormai molti anni e molti dolorosi ricordi, corre lontano, a cercare un qualche senso alle parole. E va ai cittadini o agli assessori di Taurianova, dove, nel Marzo 1992, si giunse al tiro a bersaglio di una testa decapitata; o a quelli di Gela dove, nel Novembre del 1990, in una sola sera, furono uccise otto persone e 11 ferite; o di Porto Empedocle, dove, per due volte a distanza di quattro anni, furono uccise in vie affollate rispettivamente 6 e 3 persone, fra centinaia di proiettili; o di Niscemi, dove fra altrettanti colpi vaganti, trovarono la morte due bambini di otto e undici anni; o di Racalmuto, dove, nel giro di un anno, fra il 1991 e il 1992, quattro e tre persone furono uccise, ancora da raffiche sparate in pieno giorno (voglio ancora sperare che non sia necessario annotare le province in cui quei comuni cadono).

Si ritiene genericamente che, se nessun cittadino o assessore di quei paesi andava in giro armato, per accrescere “la sicurezza”, ciò si doveva ai caratteri tipici della “omertà” e della “mafiosità diffusa”. Si tratta di volgari corbellerie retoriche, di cui la Lega fu (ed è) solo catizzatore interessato, ma nutrite vastissimamente: nella confidenza vile e protetta dei conversari familiari e amicali, non esclusi molti di estrazione “progressista”.

Non andavano in giro armati solo perché avevano, a ragione, paura. Ma questo è solo un aspetto del contesto, piuttosto superficiale. Come si evince dagli esempi riportati, nonostante quella ferocia quotidiana, la giornata del “Profondo Sud” proseguiva, nonostante la paura e, in fondo, come un sofferto ma partecipe inno alla vita. Loro sparano, e noi usciamo e viviamo lo stesso. Senza armi: a prendere un gelato, a stare in piazza, in salagiochi, a passeggiare (ancora si passeggiava). Questa volontà di non piegarsi, è stata sempre negata, in nome di quelle volgari corbellerie. In quelle circostanze, mostrarsi reticenti alla ricognizione di volti e di sagome, non era quella nota barzelletta macabro-grottesca che è stata sempre tramandata; ma, per un verso, rifletteva una obiettiva difficoltà (se piovono raffiche di mitra, uno scappa e cerca solo di salvare la pelle: da Vladivostok a Cape Town); per un altro verso, se anche se ne avesse avuta un’idea, si spiegava con l’impotenza di fronte a simile ferocia.

E, dunque: sappiamo che a Voghera, nel 2021 i testimoni affermano di non aver visto nulla che possa precisare la dinamica dei fatti. “Nenti sacciu”, in versione padana. Ma io non ironizzo. E il suo collega assessore Taverna ha trovato il modo di sciorinare un volto professionalmente asciutto, tutto costellato di prudenze valutative in punta di CNR (comunicazione notizia di reato): giustissime, ma gli si era chiesta una opinione sociale e culturale su “Sicurezza e Pistole a Voghera”, non di mimare la riservatezza di un investigatore. E qui qualche lazzo invece ci starebbe.

A noi che rimane? Solo amaramente da considerare quanto relativo possa essere il senso del discorso pubblico italiano: “sicurezza”, “cultura”, “civismo”. Perché pare che fra le menzogne che costellano la nostra storia nazionale, alcune siano menzogne riconoscibili, almeno potenzialmente additabili ad esecrazione; e altre, invece, siano state assimilate come parte di un metabolismo rassicurante e pacioso, su cui registrare le più ampie “convergenze”. Come quella su “Nord e Sud”, che già lungamente e autorevolmente agitó “la Questione”, finita ai tempi nostri a macerate nella putrefazione sabaudo-casellian-travagliesca (con noti ruffiani e manutengoli “locali”, di “basso e alto loco”).

Verrebbe da spararsi.