Il 17 febbraio è la festa più importante dei valdesi: ogni anno si ricorda il 17 febbraio 1848, quando re Carlo Alberto concesse le libertà civili alla popolazione valdese. Perseguitati per secoli, rinchiusi nel cosiddetto Ghetto Alpino — le Valli Valdesi, nelle Alpi Cozie —, finalmente i valdesi poterono scendere sotto il limite dei 550 metri di altitudine ed essere considerati cittadini sabaudi come gli altri.

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Ad eccezione della felice parentesi napoleonica, in cui il sacrosanto principio della laïcité aveva reso i valdesi citoyen sottomessi alle regole del Codice civile come tutti gli altri, la piccola popolazione subiva i capricci dei Savoia, ora tolleranti, ora crociati. Anche nei momenti di "calma" e "tolleranza", tuttavia, avvennero intollerabili episodi di violenza, come dimostra il caso di alcuni bambini valdesi rapiti per essere educati cattolici nell'Ospizio dei Catecumeni di Pinerolo, con il placet delle autorità civili, che si preoccupavano dell'anima dei figli degli eretici.

I momenti di persecuzione ebbero un picco nel 1655 con le cosiddette "Pasque Piemontesi", il tentativo di soluzione finale del "problema" valdese da parte dei Savoia, non riuscito solo perché le navi da guerra di Oliver Cromwell minacciarono la distruzione di Genova se non si fosse fermato il massacro.

Il 17 febbraio 1848 il residuo dell'unico movimento ereticale medievale sopravvissuto agli stermini, unico rappresentante rimasto su suolo italico della Riforma protestante del XVI secolo, riceveva finalmente la possibilità di vivere in pace, possibilità che dura fino ad oggi. Qualche giorno dopo, gli ebrei ricevettero la stessa concessione, ma le libertà civili vennero loro strappate esattamente 90 anni dopo, con le Leggi Razziali. Proprio il ricordo dell'infame atto del 1938 può farci intuire l'enormità della concessione o meno di libertà civili.

Leggiamo nelle Lettere Patenti di Carlo Alberto: "I Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici de' Nostri sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici. Nulla è però innovato quanto all'esercizio del loro culto." [corsivo mio] Libertà civili sì, libertà di religione no. Eppure i valdesi si presero anche quella. Cominciarono a costruire chiese, scuole e opere sociali fuori dal limes delle Valli.

Il percorso del Risorgimento, che vide, come conseguenza dell'Unità d'Italia, la fine del potere temporale dei papi, diede spazio a valdesi, ebrei e forze laiche nel governo e nelle istituzioni culturali del Regno, fino all'avvento di Mussolini. A quel punto, la "Riconciliazione" tra Stato fascista e Chiesa cattolica del 1929 ristabilì la discriminazione, con la legislazione sui Culti Ammessi: tutti gli acattolici dovevano sottostare al controllo del Ministero degli Interni. La religione tornò ad essere una questione di polizia, nella peggiore tradizione di questa sponda dell'Atlantico.

Molti furono i perseguitati. I metodisti episcopali furono ridotti in bancarotta e si sciolsero, perché il regime tagliò i finanziamenti provenienti dai fratelli statunitensi. Per non parlare di quello che successe a pentecostali, testimoni di Geova e, appunto, ebrei.

La Costituzione repubblicana del 1948 ripristinava il principio della libertà religiosa, anche se a caro prezzo: l'art. 7 tutto dedicato ai rapporti con la chiesa cattolica, regolati in base a quel trattato internazionale denominato Concordato, e l'art. 8 che, nel dare cittadinanza alle diverse comunità religiose, sancisce che l'attuazione del mandato costituzionale è regolata per mezzo di intese che la Repubblica sottoscrive con ogni confessione. In altre parole, il treno della libertà religiosa ha la prima e la seconda classe.

La prima intesa fu quella firmata nel 1984 da Bettino Craxi e da Giorgio Bouchard, moderatore della Tavola valdese. Seguirono altre intese, con i battisti, con i pentecostali delle Assemblee di Dio in Italia, con gli ebrei etc. Le intese spostano la relazione delle religioni firmatarie dal Ministero degli Interni — che ha tuttora una Direzione Centrale per gli Affari dei Culti — alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Il treno della libertà religiosa ha però una terza classe o una serie di vagoni merci: un calderone dove si trovano milioni di italiani, tra cui l'importante minoranza musulmana che, secondo i vari governi, non ha diritto a un'intesa, visto che nell'organizzazione delle comunità islamiche non sono previste gerarchie con cui lo stato può trattare, ma anche la galassia delle numerose chiese evangeliche che rifiutano il principio di "libertà concessa dallo stato".

In altre parole, l'intesa con l'Islam non avviene perché lo stato si permette di dire agli islamici non come devono comportarsi — in osservanza delle leggi —, ma come devono organizzarsi: atteggiamento profondamente illiberale. Certo, si dirà, ma le intese danno anche la possibilità di accedere alla torta dell'Otto per Mille e, se vuoi i soldi, qualche ingerenza devi sopportarla. Tuttavia qui il problema è ben più ampio di una questione di soldi: ad esempio, quale tutela dà lo stato alla cittadina italiana non musulmana che, consentendo a sposarsi con rito islamico con un cittadino straniero di fede musulmana, deve celebrare il proprio matrimonio sul territorio extraterritoriale di un'ambasciata straniera?

Per un protestante italiano — valdese, ma anche metodista, battista, avventista — che riconosce nel 17 febbraio il momento storico in cui è stata stabilita la compatibilità tra fede evangelica e cittadinanza italiana, la battaglia per l'eliminazione delle discriminazioni ancora in atto diventa un imperativo. La libertà ha senso solo se è di tutti e per tutti: altrimenti è un privilegio.

È bello vivere da cittadini liberi. È imbarazzante provare la sensazione che una libertà dovuta sia invece un privilegio. Ecco perché la festa del 17 febbraio è solitamente dedicata dai protestanti italiani all'attenzione per la libertà degli altri, per la libertà di chi non ce l'ha.