Le interviste di Francesca Fagnani sono irrigidite dall'oggetto-feticcio sul quale sono costruite: il taccuino. Il taccuino soffoca lo spazio dell’improvvisazione e della prosecuzione spontanea del dialogo, l’unico nel quale, per una questione banalmente metodologica, possono emergere cose inedite o comunque interessanti. La stessa impostazione mentale di Fagnani è quella del burocrate che regge un modulo di “campi da compilare obbligatoriamente”: ascoltando una risposta è già proiettata sulla domanda successiva; soffermarsi è lecito solo quando l'intervistato dice qualcosa di macroscopicamente notiziabile (e in quel caso Fagnani è costretta a realizzarlo con qualche istante di ritardo, ha già il capo chino sul taccuino e lo risolleva solo perché l’occasione è troppo ghiotta).

Ma se anziché il supporto per una strutturazione minima dell'intervista la scaletta ne diventa la gabbia, allora il fine prevalente sembra essere quello di dimostrare quanto bene l'intervista stessa sia stata preparata («nell'Aprile del 2007 lei dichiarò questo e due anni dopo Aldo Grasso scrisse quest'altro» – avete visto quanto abbiamo studiato?).

Questa “sovrastrutturazione” dell’intervista generalista, peraltro, è speculare all’altrettanto censurabile liquefazione della stessa cui si assiste nei podcast: interminabili – e spesso autoglorificanti – sbrodolamenti durante i quali i padroni di casa sono dei meri figuranti, reggimicrofono scarsamente preparati tanto sull’ospite quanto sulle cose del mondo.

Tornando a noi, alla fine della fiera – intesa anche come “belva” – le interviste memorabili di Fagnani sono quelle più… “semplici”, cioè quelle fatte a personaggi straordinari come Bianca Balti e, l’altro ieri, Lorenzo Jovanotti: tutte figure che riuscirebbero a dare il massimo sia dentro l’opprimente scaletta fagnanica sia nel fluido e indolente mondo dei podcaster.

Di fronte una Melissa Satta, assai più difficile da gestire in quanto – absit iniuria verbis – avvolta da uno spesso strato di vacuità, Fagnani si trasforma in una sorta di Barbara D'Urso per chi ha fatto le scuole alte: insiste su particolari pruriginosi e non tira fuori null'altro che pettegolezzi. Se riscontra reticenze di sorta, vira sulla puntura di spillo umiliante – che in controluce è una piccola e ammiccante manifestazione di narcisismo, quasi a voler scientemente solleticare il culto della personalità che va per la maggiore online.

“Belve”, e più generalmente tutta la tv generalista, è pensata per creare contenuti scindibili in reel – è così che un web tiktokizzato tiranneggia la tv. Il reel in cui Fagnani dice a Satta «e se con lei non parlo di gossip di cosa dovrei parlare, di politica?» è uno dei più visualizzati, la sezione commenti trabocca di parole encomiastiche in slang internettiano; ma umiliare un'ex velina anziché provare a tirarle fuori qualcosa d'interessante certifica le tue qualità d'intervistatrice o le svilisce? E siamo sicuri che un'intervista dopo la quale le domande vengono ricordate più delle risposte non sia un’intervista fallita?

L’altro ieri è stata ospitata Taylor Mega, un’influencer (cioè sostanzialmente una televenditrice con un ego ipertrofico); il tenore delle sue risposte era prevedibilmente bassissimo, ma tutto è diventato improvvisamente interessante quando Fagnani ha tirato fuori il tema della paralisi del sonno e delle conseguenti allucinazioni ipnopompiche (al risveglio): una mattina, durante il suo periodo per così dire psichedelico, Taylor Mega si è svegliata, il corpo immobilizzato, e si è ritrovata accanto una figura avvolta da un mantello nero che la fissava sfregandosi le mani; in un altro episodio la “presenza” le parlava e la sua voce era il suono di una raganella; ancor oggi – ha detto l'influencer – le capita di svegliarsi al suono di un tonfo, di voci…

Anziché chiederle che interpretazione abbia dato, se avesse indagato, se riconnettesse simbolicamente questi episodi a desideri inconfessabili o condotte tenute in passato, Fagnani le ha chiesto se crede che quelle presenze ci fossero e ci siano davvero – quasi a volerla macchiettizzare, ancora una volta per una questione di scaletta: l’ospite “serio” e quello divertente devono alternarsi – per poi liquidare il tutto come se nulla fosse e chiudere l'intervista.

Ha glissato anche quando l’influencer ha detto «non c'è una persona che possa farmi star male come può farmi star male mia sorella» – spunto densissimo di cose meritevole di un'indagine che trascendesse il mero pettegolezzo che ne ha innescato la formulazione, e invece niente, mi parli dunque delle volte in cui sua sorella è uscita coi suoi ex.

Francesca Fagnani è comunque una giornalista molto brava, dalle sue inchieste sulla criminalità organizzata di Roma sino al suo mirabile e impetuoso monologo a Sanremo 2023. Quell'anno non si parlò che della letterina di Chiara Ferragni e del monologo dolente di Chiara Francini, ma fu Fagnani a “vincere”: prese non tanto le difese della presunzione di non colpevolezza (che in un’Italia oppressa da una trentennale cappa di giustizialismo sarebbe stata di per sé una gran cosa), prese le difese della funzione riabilitativa della pena e dell’incompatibilità della stessa con le condizioni delle nostre carceri (segnatamente di quelle minorili), per di più concedendosi il lusso di indirizzare una risoluta e sonora strigliata a un magistrato un po' presenzialista e diversamente garantista.

Non è semplice ipotizzare che belva si senta Francesca Fagnani, però nei panni della tigre “anticasamonichiana” e antigiustizialista sta molto meglio che in quelli della volpe in ansia da scaletta.