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La Festa della Liberazione è lo specchio più lampante della immaturità democratica e civile dell’Italia. Di quanto siano deboli le strutture culturali e valoriali alla base della nostra vita pubblica, dopo 70 anni di storia della Repubblica. Non abbiamo una storia condivisa, non abbiamo valori condivisi, non abbiamo leadership politiche in grado di fare sintesi: non abbiamo un destino comune. Crisi che sta cogliendo in diversa misura molti paesi occidentali ma che nel nostro caso rappresenta solo un’aggravante rispetto a una malattia ben più profonda.

Salvini che orrendamente parla di questa giornata come “derby tra comunisti e fascisti” bestemmia sul proprio ruolo istituzionale e disconosce la storia, ma rappresenta purtroppo la percezione di grande parte degli italiani. Bossi era presente ogni anno alle celebrazioni, prendendosi dignitosamente ondate di fischi e insulti. Lo ricordo con piacere a Salvini perché critico chi boicotta quella piazza e invita a un relativismo malato dove non si distinguono più una parte giusta e una sbagliata, che dovrebbero essere evidenti. Ma sarebbe parziale affermare che il ritardo democratico italiano si riveli solo in chi resta a casa per scelta, e non sia visibile con molta chiarezza anche nella piazza che manifesta.

Il 25 aprile non può che essere una celebrazione variopinta da tante sensibilità: il pluralismo contrapposto al monocolore fascista. Da liberaldemocratico amante dell’Occidente sento con grande forza questa festa come la mia festa, ma non sento ancora quella piazza come la mia casa. Come potrei sentirmi a casa, per festeggiare la libertà, circondato da così tanti simboli liberticidi? Come posso sentirmi a casa in mezzo a fiumi di falci e martelli, in mezzo a interi cortei dedicati a Maduro, in mezzo all’ossessione anti-israeliana che pervade così grande parte della manifestazione, con decine e decine di bandiere palestinesi? Che c’entrano con la liberazione? Il Gran Mufti di Gerusalemme era alleato di Hitler e Mussolini, e lo era sulla base di un obiettivo comune: lo sterminio degli ebrei.

Sono simboli, questi sì, di una curva, puro identitarismo opposto a ciò che in realtà nacque dalla Liberazione. E ciò che venne dopo è stata la pagina più straordinaria della storia dell’umanità: decenni di diritti umani, pace, sviluppo, progresso, prosperità, salute, diritti civili in dosi mai conosciute dall’essere umano. Se guardiamo gli ultimi decenni con le lenti della storia, non possiamo non riconoscere che le macerie da cui siamo partiti e le vette che abbiamo toccato, soprattutto in Europa, sono degne di una fiaba a lieto fine, di un’opera cinematografica trionfale.

Da chi è stata raccontata, nella storia repubblicana, questa storia così splendente? Quante e quali leadership politiche si sono incaricate di incorniciare i fondatori della democrazia liberale nel pantheon che meritavano? Perché è stato minimizzato così a lungo il ruolo dei liberatori americani, limitandosi spesso a decantare la nobilissima (pur con crimini ed eccezioni) epopea partigiana? Perché non siamo stati capaci di costruire una narrazione che desse il giusto riconoscimento agli anni della nuova democrazia, la nuova costituzione repubblicana, lo straordinario progresso economico? Se ci sono così tanti nostalgici di Mussolini e c’è quasi l’oblio per De Gasperi ed Einaudi forse è anche perché qualcuno non ne ha sufficientemente portato avanti la memoria.

E spiace aprire un’altra pagina divisiva, in tempi di esasperati revisionismi cretini, ma non è possibile negare che il periodo successivo al 25 aprile ha segnato una pagina di grande dolore nella vita familiare di tantissimi italiani. Ricordandone giustamente la differenza, il Professor Barbero segnalava come la storia debba essere condivisa, ma la memoria sia personale. Ci sono migliaia di buone ragioni, per migliaia di italiani, per ricordare con dolore la guerra civile che conseguì, col suo portato di odio e vittime innocenti o casuali. In questi lunghi decenni, una piazza così parziale e la carenza di leadership capaci di sintesi, avrebbe mai potuto riappacificare la storia dell’Italia con la memoria di tanti italiani? La risposta forse racconta parte del ritardo civile che viviamo.

Salvini non è un fulmine a ciel sereno nel rapporto degli italiani con la propria democrazia, come può invece esserlo da molti punti di vista un Trump per gli americani. Un 25 aprile inteso come patrimonio condiviso e festa della libertà noi non l’abbiamo mai avuto. Quello che dovrebbe essere l’unico modo per celebrare pienamente la liberazione (la festa condivisa dedicata ad angloamericani, partigiani di ogni colore, ebrei, antifascisti di ogni tempo, democrazia e libertà) resta un’eccezione portata avanti dai Radicali e oggi da +Europa.

Le responsabilità sono molte, sono pesanti a sinistra con un monopolio culturale troppo a lungo prepotente e identitario; sono del fu centrodestra con la sua debolezza valoriale, col suo mancato senso di appartenenza alla costituzione, col suo mai risolto e negli ultimi anni brutalmente incancrenito rapporto con la storia del fascismo.

Intanto continuiamo a festeggiare il 25 aprile, a far sentire la nostra presenza e non lasciare ad altri monopoli culturali. Nella speranza che la nostra festa diventi la festa dell’Italia, che mai abbiamo avuto.