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Il 10 febbraio in Italia è dedicato al ricordo per i morti nelle foibe. Di cosa parliamo? Cominciamo con il citare primo articolo della legge del 30 Marzo 2004 che recita: "la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale". L’articolo prende le mosse dall'ultima parte “e della più complessa vicenda del confine orientale”, su questo aspetto mi concentrerò.

Diciamolo subito, questa ricorrenza è stata mal concepita e troppo strumentalizzata dalla destra italiana, questo è innegabile. Lo squallido e malcelato tentativo di contrapporre le vittime delle foibe a quelli morti nei campi nazisti è sotto gli occhi di tutti, ma detto questo, l’atteggiamento di una parte della sinistra italiana, sopratutto quella di origine marxista che durante la resistenza si riconosceva nella brigata Garibaldi (lo vedremo dopo, ma è importante distinguerli dai partigiani cattolici, liberali, azionisti, giustizia e libertà) nel liquidare la questione come un regolamento di conti o addirittura di far passare il messaggio che i morti nel carso erano tutti fascisti negando la natura di pulizia etnica effettuata dalle truppe di Tito, è altrettanto squallido e sopratutto antistorico.

E’ un dato di fatto che fascisti italiani in quelle terre hanno forse mostrato il peggio che il regime di Mussolini era in grado di fare: prima operando una sorta italianizzazione dell’Istria, cambiando i cognomi slavi, dando fuoco al centro di cultura slava a Trieste e manganellando gli intellettuali che non si adeguavano al regime. Poi, durante la guerra, quando le popolazioni slave si organizzarono in formazioni partigiane per combattere i nazifascisti, i nazifascisti risposero con rastrellamenti e processi sommari nei confronti popolazione civile. Insieme ai tedeschi le truppe regolari del Regio Esercito Italiano si accanirono contro gli slavi con estrema crudeltà, fino al costruire una rete di campi di concentramento per nulla “invidiabili” a quelli tedeschi, salvo le camere a gas. Non era riservato ai cosiddetti ribelli: interi villaggi slavi con vecchi, donne e bambini furono rinchiusi in posti come Arbe, dove il tasso di mortalità era uguale a Buchenwald. Ricordiamolo, campi italiani, non tedeschi e nemmeno delle camice nere, campi gestiti dall'esercito regolare italiano. La repressione italiana fu talmente brutale che perfino i vertici dell’esercito tedesco si lamentarono del comportamento tenuto dai generali italiani. Il non ricordare questi fatti non fa bene prima di tutto alla Storia con la S maiuscola, ma neanche a noi italiani, impedendoci di fare i conti con il nostro passato.

Quello che avvenne dopo fu invece la storia di una pulizia etnica altrettanto atroce e poco collegato a ciò che avvenne prima. Se prima di Tito gli slavi di Slovenia e Croazia si organizzarono in formazioni partigiane spontanee e puntavano principalmente a riacquistare la libertà, il maresciallo aveva invece un obiettivo nazionalista ben preciso: unire i popoli slavi sotto un'unica bandiera e sotto la guida di Belgrado. Nonostante Tito non fosse serbo, si andava già prefigurando uno stato dove i serbi avrebbero avuto l'egemonia nel controllo statale della futura Jugodsalvia. Per inciso, e bene ricordare quanto accaduto nel XX secolo in diverse parti del momdo, dove molte mire nazionaliste sono state mascherate dall'ideologia della teoria liberazione del proletariato per meglio farle digerire a chi veniva conquistato. Nel caso specifico questa “contraddizione Jugoslava” esplose all'inizio degli anni 90 e non è un caso che furono proprio gli sloveni i primi a ribellarsi contro i nazionalisti/comunisti/serbi di Belgrado. Subito dopo venne il turno dei croati. Fu l’inizio della disgregazione balcanica.

Le truppe di Tito venute da Sud vedevano nella secolare presenza italiana in Istria (al netto dell'immigrazione forzata dal fascismo nei decenni precedenti) un ostacolo al loro progetto e passarono quindi alla pulizia etnica. Per quanto diversi fascisti furono processati da tribunali slavi o giustiziati, la maggior parte dei fascisti veri erano già tutti scappati via, mentre chi invece erano rimasti soprattutto italiani che non se la sentivano di abbandonare le loro case, oppure italiani antifascisti che in quanto tali credevano di non avere niente da temere dal “liberatore Tito”.

Una delle vittima più note e emblematiche è Angelo Adam. Antifascista di Fiume, Adam era ebreo e per questo fu internato nel 1943 a Dachau. Riuscì a salvarsi dai nazisti, ma una volta ritornato nella sua città dovette fare i conti con il suo essere si antifascista, ma legato al comitato di liberazione italiano, laico, mazziniano e fiumano autonomista. Tanto è bastato: fu prelevato da casa con la forza dalle milizie di Tito con ancora la matricola numero 59001 tatuato sul braccio e insieme a lui sua moglie. Quando la figlia ha cominciato a fare domande in giro su dove fossero finiti, scomparve anche lei. I corpi non sono mai stati ritrovati. Oltre a Adam furono migliaia gli italiani non comunisti e antifascisti, forse proprio per questo doppiamente pericolosi, a essere uccisi e infoibati.

Un'ulteriore prova delle mire molto nazionaliste e poco antifasciste del maresciallo Tito lo abbiamo con i fatti della strage Porzûs, “al di qua” dei confini italiani. Come molti sanno Tito, oltre a Trieste, voleva espandere i confini della futura Yugoslavja oltre le Alpi, ovvero annettere territori friulani dove ci fosse anche una qualche presenza di minoranza slava. In quel periodo in Friuli operavano principalmente due brigate di partigiani, la Osoppo che riuniva i cattolici, liberali, azionisti, autonomisti, ex soldati euomini di Giustiza e Libertà; la seconda era la brigata Garibaldi, che prendeva le direttive dal PCI.

Il PCI diede istruzioni alla Garibaldi friulana di non sottostare al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale ) che riuniva e coordinava tutti i partigiani in Italia, indipendentemente dalla fede politica o di parte, ma di sottostare ai partigiani yugolsavi. Questo creò non pochi attriti tra le due formazioni, anche se fino ad allora erano riusciti a trovare un accordo per combattere il nemico comune nazifascista. Era evidente però che la Osoppo, una volta finita la guerra, avrebbe costituito una minaccia ai piani yugoslavi di espansione in Friuli. Dal comando di Tito dettero quindi ordine ai garibaldini italiani di attrarre i vertici della Osoppo in una trappola nei pressi di Porzûs , e ucciderli. I garibaldini, ormai ridotti a manovalanza titina, obbedirono.

Tra i 17 morti della Osoppo ci furono anche Guido Pasolini, fratello del noto poeta, e Francesco De Gregori, da cui il nipote cantante ereditò il nome. Alcuni responsabili garibaldini dell'eccidio furono processati dai tribunali dell'Italia libera, ma quasi nessuno di loro scontò la pena, grazie alla protezione riservata nei paesi dell'Est dove scapparono. Pier Paolo Pasolini, a proposito di suo fratello, in una lettera a Luciano Serra scrisse: “Essendo stato richiesto a questi giovani, veramente eroici, di militare nelle file garibaldino-slave, essi si sono rifiutati dicendo di voler combattere per l'Italia e la libertà; non per Tito e il comunismo. Così sono stati ammazzati tutti, barbaramente.”

E sempre a suo fratello dedicò questa poesia in Friulano:

« La livertat, l'Itaia
e quissa diu cual distin disperat
a ti volevin
dopu tant vivut e patit
ta quistu silensiu
Cuant qe i traditours ta li Baitis
a bagnavin di sanc zenerous la neif,
"Sçampa - a ti an dita - no sta tornà lassù"
I ti podevis salvati,
ma tu
i no ti às lassat bessòi
i tu cumpains a murì.
"Sçampa, torna indavour"
I te podevis salvati
ma tu
i ti soso tornat lassù,
çaminant.
To mari, to pari, to fradi
lontans
cun dut il to passat e la to vita infinida,
in qel dì a no savevin
qe alc di pì grant di lour
al ti clamava
cu'l to cour innosent. »