Cultura e sponsor, Atene prenda esempio da Milano
Terza pagina
Ha creato molto rumore ieri, la notizia dello ‘schiaffo di Atene’ a Gucci, come riportato da diverse testate giornalistiche italiane, secondo cui il consiglio archeologico della Grecia (KAS) ha bocciato l’offerta della casa di Firenze di ‘affittare’ l’Acropoli per una sfilata di moda estiva della durata di pochi minuti in cambio di un cospicuo corrispettivo monetario da utilizzarsi in restauri.
Nonostante la casa di moda fiorentina abbia smentito attraverso un comunicato che nella proposta si sarebbe già parlato di soldi, il consiglio archeologico greco, che fa capo al ministro ellenico Lydia Koniordou, ha precluso qualsiasi ulteriore trattativa tramite una risposta ufficiale che recita: “Il carattere culturale unico dei monumenti dell'Acropoli è incompatibile con l’evento proposto, poiché i suoi monumenti sono simboli della civiltà e patrimonio culturale mondiale”.
Eh sì, una bocciatura totale, tant’è che secondo Gatapoulou, direttore generale dell’area restauro, musei e opere tecniche del ministero della cultura, quella di Gucci sarebbe “una proposta volgare”. Talmente volgare da imporre un cambio di rotta del Governo Tsipras rispetto alle amministrazioni passate che negli anni precedenti, invece, non si erano fatte sfuggire sponsorizzazioni da parte di Coca Cola, Lufthansa e Verizon che avevano utilizzato in diverse occasioni i marmi pregiati dell’Acropoli.
Una scelta forte e autorevole, come a voler ribadire che la cultura non ha prezzo, neanche se non ci sono i soldi per manutenere i monumenti pubblici e soprattutto se a offrire quel prezzo è un privato.
È andata invece diversamente a Milano dove, nella stessa giornata, i cittadini si sono svegliati con palme e banani davanti al Duomo e il sindaco che, attraverso una commento su Instagram, ci scherza su, dicendo che, al di là della buona o cattiva idea, a Milano non manca sicuramente il coraggio di osare.
Certo, perché, parallelamente a quanto accaduto ad Atene, anche quella di Milano è una storia di soldi e sponsorizzazioni. Non c’è Gucci che vuole fare una sfilata in passerella, ma la multinazionale Starbucks che, scalpitante per l’apertura dei battenti nel capoluogo lombardo il prossimo anno, si è aggiudicata un bando per il restyling degli spazi verdi che fronteggiano il monumento simbolo di Milano.
Neanche a Milano, ovviamente, mancano le critiche: a difenderci dall’oltraggio ai simboli della civiltà questa volta non c’è nessun ministro del Governo Tsipras, ma il consigliere di Fratelli d’Italia, De Corato, che a difesa dei valori occidentali ci ricorda che “non si è mai vista una grande cattedrale europea con piante di banane di fronte”.
Seppur si tratti di due amministrazioni di grado differente - un comune quello di Milano, un ministero quello di Atene - l’approccio politico/culturale a una situazione per molti punti di vista identica appare completamente diverso: se da un lato le sinergie tra pubblico e privato, tra la sfera culturale e commerciale, sembrano essere di buon auspicio, dall’altro non solo si rigettano, ma addirittura si bollano come volgari e oltraggiose di quei simboli che noi tutti, in un modo o nell’altro, riconosciamo identitari della nostra storia.
Diciamo le cose come stanno. Il vero problema non è nella proposta di Gucci, ma è Gucci in quanto proponente. C’è infatti questa idea, più delle volte di sinistra-sinistra ma che appartiene anche a un certo mondo popolar-populista, che alcune sfere sociali siano di esclusiva competenza della cosa pubblica. E che il grado di civiltà cresca quanto più queste rimangano immacolate da logiche privatistiche. Come se vi fosse minore cultura in un monumento restaurato da McDonald’s, o come se, viceversa, una pubblicità finanziata da un ente pubblico (pensando a quelle dedicate alla promozione del turismo per esempio) non fosse comunque lo sfruttamento di uno strumento commerciale.
Che poi, seguendo il ragionamento greco, dovrebbe essere vietato anche visitare l'Acropoli in costume o pantaloncini. E cosa dire invece di un selfie tra i monumenti dove passeggiavano i più grandi pensatori del mondo occidentale? Non è forse più volgare e oltraggioso di 15 minuti di una sfilata di alta moda tra le colonne del Partenone?
Ecco quindi che rinunciare a milioni di euro destinati (ricordiamo) al restauro e mantenimento degli stessi monumenti ellenici, di fronte ad una situazione economico-sociale disagiata, non risulta solo poco lungimirante, ma finisce per essere una scelta arrogante e arroccante rispetto a quei valori che paradossalmente si dichiara di difendere.
Al contrario, Milano e il suo sindaco hanno capito bene che non c’è miglior modo di difendere la nostra cultura e i nostri simboli del raccogliere le sfide economiche imposte dai tempi che - inevitabilmente – avanzano veloci. Già con Pisapia la città ha mostrato di sapersi destreggiare con le partnership private, basti pensare al restauro della Galleria Vittorio Emanuele II, costato 10 milioni di Euro e cofinanziato per metà da Prada, Versace e Feltrinelli. Con Beppe Sala, poi, il capoluogo lombardo sembra addirittura andare oltre, accettando delle piante orientali davanti un monumento che di orientale ha ben poco.
E allora? Allora Atene prenda esempio da Milano. Nella città dei record, l’ennesima occasione appare molto più culturalmente sfidante rispetto al rifiuto greco.
E se Gucci non ha ancora trovato un’alternativa per quest'estate, osi e venga a Milano a sfilare tra le palme e i banani di piazza Duomo.