Pensando a Sergio Stanzani, scomparso novantenne lo scorso 17 ottobre, al di là  del ricordo personale dell’amico, quella che mi viene con più forza alla mente è l’idea di quanto intensamente la sua storia, come quella di pochi altri, faccia tutt’uno con quella del Partito Radicale.  Sotto molti aspetti, questo suo identificarsi con la vicenda radicale può esser definita la cifra stessa della sua vicenda culturale e politica.

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Fin dagli anni precedenti alla nascita del PR nel 1955-56;  perchè Stanzani fu una figura centrale di quella politica studentesca universitaria dei primi anni cinquanta,  e dell’ Unione Goliardia Italiana, per la quale fu presidente dell’UNURI, l’organizzazione nazionale rappresentativa degli  studenti. E fu quello il crogiolo nel quale in tanta parte si formarono l’esperienza, il patrimonio ideale, potrei dire forse gli istinti, che caratterizzarono il gruppo che intorno a Marco Pannella avrebbe raccolto il nome e il simbolo del Partito Radicale dopo la sua quasi dissoluzione nel 1962. Un’esperienza, la goliardia politica laica, in cui Stanzani, più anziano, accolse da dirigente già  prestigioso e autorevole il giovane Pannella e gli altri, con i quali nel 1955 partecipò alla fondazione del Partito Radicale.

Così, nel 1966-’67, nella fase di nuova fondazione del Partito Radicale ad opera di una pattuglia di poche decine di persone, toccò quasi naturalmente a lui presiedere la commissione che preparò quel nuovo statuto del partito che, vero e  proprio manifesto politico e di cultura politica,  proprio raccogliendo le più originali elaborazioni maturate nell’UGI, proponeva un  modello di partito e di rapporto fra partito e istituzioni radicalmente alternativo a quello dominante in Italia e nell’Europa continentale:  un partito federale, strumento di azione politica di persone e gruppi legati fra loro da comuni impegni assunti anno per anno su un principio di associazione politica libera e responsabile, privo di disciplina formalmente statuita, di probiviri, di possibilità  di espellere, con libertà  di doppia tessera anche con altri partiti....   Di questo statuto (cui sempre ci si è riferiti come allo “statuto Stanzani”) Sergio doveva poi sempre rimanere in qualche modo il custode e l’interprete più autorevole.

Il punto decisivo di svolta nella sua vita fu nel 1979 quando, eletto al Senato, compì la scelta di rinunciare alla posizione di alto dirigente di Finmeccanica per dedicarsi senza riserve nè possibili ripensamenti all’attività  politica, che sempre più diventava la sua ragione di vita. Da allora, senatore prima, poi deputato, infine di nuovo senatore, seppe conquistarsi un elevato prestigio nelle aule parlamentari per la qualità  della sua presenza e del suo impegno.

Al quale accoppiò sempre una tenace presenza nelle sedi di partito, contribuendo in modo spesso determinante a inventare e a condurre iniziative che, in una forza come quella radicale, ebbero una funzione di primo piano per consentirle di esistere e di comunicare con l’opinione pubblica: citerò per tutte l’impresa di Teleroma 56. L’esperienza che forse più di tutte lo segnò, però, fu l’essere segretario del Partito Radicale dal 1988 al 1993, quando si trovò a gestirne la trasformazione in partito transnazionale: una figura politica senza precedenti, che doveva inventare e creare passo per passo il proprio modo di essere, di funzionare, il proprio ruolo, il proprio modo di fare politica. E a questo compito Stanzani, privo fin là di esperienze internazionali, lamentandosi ogni giorno inadeguato (“io che non sono un intellettuale, io che non so le lingue...”) si dedicò fino in fondo,  con passione efficacia: senza timore nel chiedere aiuti e sostegno, dando un apporto determinante a mettere in piedi una realtà  cui, nella stagione del crollo del comunismo, aderirono decine di parlamentari dei nuovi parlamenti dell’Est  europeo; e che si conquistò infine quella posizione nell’ONU che ha permesso ai radicali, con il partito transnazionale e con le organizzazioni ad esso collegato, di condurre e vincere  le battaglie per istituire le Corti penali internazionali e per la Moratoria nella pena di morte. 

Di questa sua opera ha rappresentato una naturale continuazione la sua presidenza di “Non c’è pace senza giustizia”, l’organizzazione che, dagli ultimi anni novanta,  ha condotto appunto la campagna per le Corti penali, e la sua presidenza, e  in ultimo presidenza d’onore, del Partito radicale nonviolento e transnazionale. Sempre più, con il passare degli anni, questo suo identificarsi spesso tormentato con la  vicenda radicale appariva con evidenza la cifra della sua vita. I suoi interventi, spesso capaci, anche da ultimo, di suscitare entusiasmo nei congressi, erano dedicati in sostanza a questo solo tema, l’esperienza radicale.  E ogni volta, in definitiva, il soggetto, o l’oggetto, era lui stesso, Sergio Stanzani: il suo rapporto con questa storia, con coloro che in vario modo ne avevano fatto e ne facevano parte. 

Nel leggere, così, la propria biografia,  ragionava su quella storia, sui suoi caratteri, sulle sue specificità.  Era il suo modo di parlare di sé.  La sua preoccupazione poi, e sempre di più angoscia, negli ultimi difficili anni di malattia, era la paura di non riuscire più esercitare un proprio ruolo nella casa radicale, e di non essere più in grado di venire nella sede di via di Torre Argentina: "e che farei allora?" chiedeva. "Non so fare altro, anzi, non riesco a immaginare di fare altro…" 

Possiamo dirlo. Non è accaduto. Fino all’ultimo, è riuscito a esserci.