Vinitaly, la grande fotografia in evoluzione del vino italiano
Strade del Cibo
A volerlo descrivere a coloro che non lo hanno mai vissuto o frequentato, il Vinitaly, la più importante kermesse/fiera/vetrina del settore vitivinicolo italiano che si svolge ogni anno a Verona in aprile, si può rappresentare un po’ come un’istantanea, la foto di classe del vino italiano, che permette di cogliere tutte le diversità, i punti di forza e le contraddizioni del mercato e della produzione del settore.
Anche solo a consultare la mappa dei padiglioni si capisce che quello che fa grande il vino italiano è la presenza di grandi vini e il numero enorme di denominazioni in tutte le regioni dello stivale: un padiglione in molti casi ben più grande di un campo di calcio per ogni regione (a volte anche più di uno) all’interno dei quali il visitatore può perdersi nelle 74 DOCG, 332 DOC e 118 IGT italiane.
A Vinitaly quando ci si telefona o ci si messaggia si scambiano conversazioni del tipo “Io sono in Trentino, tu dove sei?” “Io sono tra il Piemonte e la Toscana, dieci minuti e ti raggiungo o preferisci che ci troviamo in Friuli?”. E perdersi non è difficile, i vini italiani sono tanti, tantissimi, forse troppi? In realtà no se ognuno è l’espressione diversa di un singolo territorio, ma forse anche sì se l’obiettivo è far conoscere nel mondo il prodotto che proviene da un francobollo di terra, in un comune che fa parte di una provincia che in molti casi il consumatore straniero ha difficoltà a collocare tra la Calabria e il Trentino.
C'è posto per tutti
Ma chi ha detto che la storia di quel francobollo di terra sia per tutti e non forse solo per alcuni estimatori disposti ad ascoltarla e per la quale essa partecipa a dare valore al suo prodotto? Perché a Vinitaly ci sono tutti e negli anni tutti stanno trovando la loro collocazione, lo spazio per raccontare le loro storie a chi cerca prodotti, numeri ed etichette diverse, tra buyer della GDO o dell’Horeca, importatori ed esportatori, enotecari, ristoratori, nuovi canali di e-commerce e consumatori (o wine lovers come si chiama colui che pur non essendo un addetto ai lavori è disposto a pagare un ingresso salato per fare un viaggio nell’eccellenza del vino italiano).
E allora tornando alla mappa della fiera vediamo che c’è uno spazio dedicato al vino biologico, che i numeri di Nomisma Wine Monitor confermano in costante crescita, e ai piccoli produttori e vignaioli di FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) e di ViViT (Vigne Vignaioli e Terroir). Non più una “riserva indiana” per distinguere e distinguersi dagli stand blasonati, ma un modo assolutamente rispettabile e intelligente per permettere a chi è in cerca di vini e storie dal vigneto alla bottiglia di identificarli nel mare magnum del vino italiano. “Esporre nel padiglione regionale, frequentato dai buyer in cerca dei milioni di bottiglie di Pinot grigio, per me era quasi inutile” mi ha spiegato un’amica, vignaiola della provincia di Venezia che ho incontrato nel padiglione di FIVI “Essere qui invece mi fa incontrare finalmente coloro che sono interessati a conoscere del mio territorio – Lison Pramaggiore - i vini come i miei e mi permette di raccontare chi sono e cosa faccio”.
È scomparso invece (per fortuna) un padiglione presente in qualche passata edizione che si chiamava “Trendy oggi, big domani” il cui unico filo conduttore era far parte della selezione di un famoso critico e di un altrettanto famosa guida: specchio dei tempi anche questo, i trendy di ieri forse sono diventati big e i trendy di oggi hanno fatto scelte diverse da quella di affidarsi alla critica enologica.
Il bello e il difficile del mondo vitivinicolo italiano è proprio questo, non c’è un mercato ma ci sono tanti mercati, non c’è un vino iconico da raggiungere, ce ne sono tantissimi, non c’è un modello imprenditoriale, ce ne sono tanti e tutti possono trovare il loro spazio, in Italia o all’estero così come nei padiglioni di Vinitaly o anche fuori. Perché ci sono anche quelli che all’insegna del “mi si nota di più se non vado” hanno istituito due fiere di vini naturali parallele nei giorni immediatamente precedenti a Vinitaly, tracciando così da soli i confini del proprio recinto.
Tutti diversi ma tutti uguali
Il mondo del vino è così, fatto dalle grandi aziende che hanno portato l’Italia nel mondo dei vini di alta e altissima gamma, da gruppi industriali, da imbottigliatori, da cantine cooperative in grado di fare selezioni più importanti e vini più “semplici” (“il vino di casa” recita lo spot recente di Caviro, la più grande cooperativa italiana – 13.000 produttori soci di 30 cantine - aggiungendo che “semplice non vuol dire facile”), da vignaioli (FIVI l’associazione più significativa conta oggi circa 850 soci) che gestiscono all’interno delle proprie aziende a conduzione familiare tutte le fasi della lavorazioni, trasformazione, confezionamento e commercializzazione del vino.
Mondi molto diversi uniti da un unico prodotto, il vino, che indipendentemente dalle regioni, dalle dimensioni aziendali o dal livello di tecnologia, si ottiene da uno stesso processo di trasformazione dell’uva e sotto uno stesso cielo normativo e sistema di certificazioni, comunitarie (come le Denominazioni di Origine e il biologico) e volontarie, che servono per rendere trasparente per il consumatore quanto avviene in vigneto e in cantina.
Eppure anche all’interno di un ecosistema già così complesso c’è chi tenta di affermare la propria diversità e individualità cercando e creando differenze proprio all’interno del processo produttivo, e così sono nati i vini vegani, i vini senza solfiti aggiunti e i vini ottenuti “senza l’utilizzo di sostanze ammesse per uso enologico”. Ora, al di là di una discussione che porterebbe lontano sulla necessità comunque di provare e certificare ognuna di queste affermazioni, quanto spazio ci sia per questi prodotti quando i motivi di raccontare le differenze già esistenti sono già tanti, lo vedremo solo nel tempo.
Sociologia del Wine Lover e del bere consapevole
Ad averlo frequentato ormai da più di vent’anni Vinitaly offre anche uno stop motion di come anche i visitatori, operatori e wine lovers, siano cambiati. I primi un po’ più casual di qualche anno fa, i secondi più giovani. Perché anche nei corridoi della Fiera di Verona si percepisce quello che gli analisti dicono da qualche anno: i nuovi consumatori di vino, attenti, curiosi e informati, in cerca di qualità e forti utilizzatori dei mezzi digitali sono i Millenials, venticinque-trentenni in gruppo o in coppia, con una presenza crescente di donne.
Non cambia invece purtroppo il risultato finale di un giorno di Vinitaly su molti di coloro che visitano la fiera per diletto e finiscono per percorrere i corridoi (che sono drittissimi) con una traiettoria tutt’altro che lineare. Non un bel biglietto da visita per il vino italiano agli occhi degli operatori stranieri, lamentano da anni dagli addetti ai lavori, e per il quale a niente valgono gli appelli e le campagne al bere consapevole o lo stand all’ingresso della fiera della Polizia Stradale e dei Carabinieri. È il mondo del vino bellezza... e questa è una delle sue tante contraddizioni, come quando aprendo il sito di un produttore di alcolici ci viene chiesta la data di nascita per verificare la maggiore età dei naviganti in rete.