aflatossine

Mentre ci stavamo preoccupando inutilmente per la pasta fatta con il "pericolosissimo" e "contaminatissimo" grano canadese, mostro a cui il CETA ha aperto le porte della nostra patria indifesa, abbiamo messo da parte i pericoli veri di casa nostra: la salute delle produzioni interne di mais. 



Per fortuna a ricordarceli ci ha pensato il recente ritiro dal mercato di una piccola partita di farina di mais contaminata da micotossine, prodotta da un mulino di Sermide, nell'Oltrepò mantovano, per conto di un'azienda agricola biologica. I controlli hanno evidenziato la presenza di fumonisine a concentrazioni più elevate rispetto alla soglia di tolleranza stabilita dalla legge.

È bene ricordare che si tratta solo la punta dell'iceberg, quindi il mulino e l'azienda agricola non vanno demonizzate. Non è la prima volta che nel mercato italiano si assiste al ritiro dal commercio di prodotti contaminati. Altre volte, invece, per salvare le produzioni si è deciso di innalzare le soglie di tolleranza, in modo di poter destinare il mais quantomeno alla produzione di mangimi (col piccolo problema che alcune di queste tossine passano indenni i processi digestivi e quelli trasformativi e arrivano sul nostro piatto).



Le fumonisine trovate nel lotto di farina di mais sono uno dei tanti tipi di micotossine, ovvero composti tossici prodotti da alcuni tipi di funghi che crescono nelle piante e che possono avere effetti nocivi - anche molto nocivi - per gli uomini e per gli animali. Il mais è tra i cereali più soggetti a questo tipo di contaminazione e i mutamenti climatici di questi anni stanno incidendo non poco: le micotossine si sviluppano generalmente in condizioni ambientali caratterizzate da temperature elevate e scarsa umidità.

I dati sul monitoraggio effettuato nel 2016 (ma solo per alcune micotossine) su 320 campioni di mais, provenienti da 44 centri di stoccaggio, ci dicono che il 12% di essi era contaminato da aflatossina B1 a valori superiori a quelli di legge per i mangimi. Nel 2015 andò peggio (i campioni che superavano il limite di 20 μg/kg erano il 18%, nel 2014 lo 0%).

Da questa premessa possiamo capire cosa accadrà a breve, la stagione 2017 è stata pessima: caldo estremo e scarsa umidità hanno segato le gambe alle produzioni già solo a livello quantitativo, è il rischio di un'elevata contaminazione da micotossine è di là dalla porta. Non è un caso se la Cia di Ferrara - dove si produce il 40% del mais prodotto in Emilia Romagna (che insieme a Veneto e Friuli è la regione in cui si produce di più) - parla senza mezzi termini di "anno nero del mais".

Andrea Bandiera del Gie (Gruppo di interesse economico) Cereali spiega che «le temperature elevate e l’assenza di pioggia hanno mandato le piante in stress idrico e fatto proliferare le aflatossine, abbassando la qualità del mais. Sappiamo che i funghi responsabili del proliferare delle micotossine attaccano le piante deboli, quelle che non vegetano correttamente e quest’anno il ciclo vegetativo è stato anomalo. Ci ritroviamo con il 50-60% di prodotto dove le aflatossine superano i limiti di legge consentiti, che presumibilmente sarà destinato a scopo energetico, anche se ogni centro di ritiro ha politiche differenti». 

Contaminazione che va inserita in un contesto di produzione - sempre a detta della Cia Ferrara - dimezzata rispetto allo scorso anno. E non aspettiamoci che questa sia l'eccezione.

Secondo quanto emerso durante le "Giornate del mais 2017" organizzate dal CREA di Bergamo, la produzione interna di questo cereale sta letteralmente crollando, sia per via della contrazione dei prezzi, sia per via della difficoltà di produrre mais salubre. Finisce che oggi abbiamo un deficit produttivo di oltre il 40% e la produzione scende anno dopo anno, costringendoci a importare granella di mais dall'estero (dove le produzioni crescono) per alimentare principalmente la filiera dell'agroalimentare 'made-in-Italy-ma-non-troppo' di cui andiamo fierissimi.

Il problema è evidentemente molto grosso e vanno trovate e applicate in maniera tempestiva delle soluzioni. Una di questa non può essere - purtroppo, perché così abbiamo deciso - quella di coltivare mais-Bt, ovvero il mais geneticamente modificato, dotato di resistenza naturale alla piralide, l'insettino nei cui tunnel scavati nelle spighe e nelle cariossidi si sviluppano muffe e funghi. Potrebbe essere un buon passo avanti, ma ormai è inutile guardare indietro.

Ma soprattutto una cosa da non fare è trattare il problema come un'emergenza: non lo è, purtroppo la contaminazione da micotossine si ripresenta ogni anno. Per cui è meglio agire razionalmente in via preventiva, con una strategia: adottare le corrette tecniche agricole, effettuare più controlli in campo e migliorare quelli sui prodotti (aumentando numericamente, anche in termini di rappresentatività territoriale i campionamenti); intervenire con le armi che la chimica ci mette a disposizione e con quelle bio(tecno)logiche; scegliere gli ibridi più adatti al terreno e al clima; studiare e testare soluzioni innovative. Non si fa dall'oggi al domani, ma oggi che vediamo bene il problema è il momento di iniziare sul serio.