siccità

Sul Po, dove fino a qualche mese fa scorrevano le acque del Grande Fiume, oggi si può passeggiare. Da Sud a Nord le regioni chiedono lo stato di calamità, l'agricoltura si riscopre in ginocchio, i Comuni emanano ordinanze per limitare il consumo di acqua. È la grande siccità del 2017.

La primavera appena conclusa, seguendo un inverno molto caldo, secondo i dati raccolti dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima (Isac) è la terza più asciutta in Italia dal 1800 (-48% di precipitazioni rispetto alla media 1971-2000), ed è la seconda più calda (appena 10 anni dopo il record storico del 2007) con una deviazione delle temperature medie verso l'alto di 1,91°C rispetto alla media delle temperature registrate nel trentennio 1971-2000.

Per capire che non fa semplicemente 'più caldo' ma che siamo in mezzo a un aumento accelerato delle temperature medie anche in Italia, come nel resto del globo terrestre, un grafico prodotto sempre dall'Isac potrebbe essere d'aiuto: l'asse delle ordinate non indica le temperature ma lo scostamento di esse rispetto alla media del periodo 1971-2000 (è un modo per avere dati omogenei nelle serie storiche, basato su questo studio italiano pubblicato sull'International Journal of Climatology nel 2006).

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Per le piogge è più difficile fare un ragionamento: nel corso degli anni la tendenza, seppure al ribasso, non è considerata statisticamente significativa se guardiamo alla quantità di acqua caduta in media ogni anno (grafico sotto, anche qui la variazione, espressa in termini percentuali, è in base alle precipitazioni registrate nel periodo 1971-2000). Il problema, semmai, è come (e dove) cade quell'acqua, ovvero se è abbastanza distribuita nel corso delle stagioni o se invece le precipitazioni sono fenomeni improvvisi, 'violenti' e concentrati nel tempo.

Sappiamo che l'area mediterranea conosce tipicamente periodi di siccità meteorologica, ovvero l'assenza per periodi più o meno lunghi di precipitazioni: il problema è che l'aumento delle temperature e i cambiamenti climatici stanno allungando questi periodi e li stanno rendendo più frequenti, così come più frequenti sono le anomalie climatiche stagionali come quella che stiamo vivendo nel 2017, comportando problemi ai sistemi idrici regionali (siccità idrologica) creando deficit d'acqua per l'agricoltura (siccità agricola) e, in generale, per i consumi (siccità socio-economica).

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Questa situazione accelera quella che per noi è una degradazione del suolo, con conseguente aumento del rischio di desertificazione nelle aree già 'predisposte' e del rischio di dissesto idro-geologico laddove i periodi umidi sono più frequenti. Comporta una grossa crisi per il comparto agricolo che è sì abituato alla variabilità stagionale, ma non è preparato per affrontarla quando è così espansa nel tempo e negli effetti: il troppo caldo - per di più anticipato e dilatato, interrotto poi da abbassamenti improvvisi delle temperature come è accaduto nella fine di giugno - brucia e rovina le colture, la poca disponibilità di acqua limita la produzione e comporta gravosi sforzi, anche economici, per recuperarla dove c'è e trasportarla dove manca, con perdite per molti milioni di euro di produzioni.

Eventi oggi vissuti ancora come "emergenze" ma che potrebbero essere sempre più frequenti nei prossimi anni in un contesto molto delicato. Non significa che da qui in avanti non ci saranno più 'stagioni buone', ma che con molta probabilità ci saranno molte stagioni più simili a questa che incideranno in maniera significativa sulle nostre capacità produttive se non prenderemo contromisure per tempo, evitando di far peggiorare situazioni già compromesse.

Un lavoro di Emanuela Dattolo, Francesca Italiano, Alessandra Pedriali, pubblicato su Galileonet, evidenzia proprio l'altissima sensibilità del nostro sistema produttivo alla siccità: «Gran parte della produzione agricola italiana è infatti a rischio siccità, avendo un’impronta idrica medio-alta, con un picco del 50% della produzione totale ad alta sensibilità in Calabria, una delle aree italiane che secondo i modelli climatici elaborati dall’ISPRA sul clima futuro in Italia, subirà anche i maggiori effetti della diminuzione delle precipitazioni. Per quanto i valori delle altre regioni si assestino su un valore di sensibilità medio, esso interessa la produzione di tutti i comparti regionali e rappresenta un dato esteso a larga parte delle produzioni di largo consumo come i cereali e il comparto dell’ortofrutta, nonché alle produzioni ad alto valore economico come quelle viticole».

Discorso simile viene fatto per quanto riguarda la pesca: «I settori dell’Alto Adriatico, Medio Adriatico e Alto Tirreno sono i bacini potenzialmente più a rischio - spiegano le ricercatrici -, in quanto presentano una forte preponderanza di specie con alta sensibilità all’innalzamento delle temperature, ovvero specie adattate ad habitat più temperati o freddi (range di temperature dai 12 ai 18°C). Se le temperature dovessero aumentare ulteriormente anche in queste regioni, potrebbe crearsi il cosiddetto effetto cul-de-sac: queste specie non potrebbero migrare più a nord alla ricerca di habitat più freddi».

Nel 2014 il Ministero dell'Ambiente ha elaborato l'ultima Strategia Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (meglio: "Elementi per una strategia...", dopo un confronto pubblico con i portatori d'interessi) proponendo delle misure per mitigarne gli effetti anche per i comparti produttivi, come l'agricoltura e la pesca. Si tratta di una lunga lista di pratiche non solo per affrontare i momenti di crisi, ma proprio per prevenirli, adattando e modificando opportunamente i sistemi produttivi, da una migliore gestione delle risorse idriche al cambio di colture dove è necessario, fino alla predisposizione di sistemi di controllo più efficienti e diffusi.

Ma il punto sembra essere sempre il solito: trasformare le intenzioni in volontà e la volontà in azioni, farlo in fretta e farlo bene. Senza aspettare che arrivi un'altra crisi a ricordarcelo.