energia nucleare grande

Giuseppe Zollino nel suo libro “Te lo do io il green deal” spiega come gli obiettivi posti dal pacchetto fit-for-55, che fa parte del Green Deal, di riduzione delle emissioni di Co2 del 55% entro il 2030 non siano raggiungibili. Poche settimane dopo la pubblicazione del Green Deal, Zollino scriveva che è “difficile dissentire in linea di principio sugli ambiziosi obiettivi dello European Green Deal. Ma la vera discussione è sul come raggiungerli. Il Green Deal può rappresentare una straordinaria occasione di crescita virtuosa o rivelarsi l’ennesimo elenco di obiettivi roboanti ed inefficaci”.

La 28° conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è svolta nel dicembre 2023, a cui hanno partecipato 197 paesi, ha messo in evidenza come l’Unione europea abbia ridotto negli ultimi trent’anni le emissioni di Co2 di 800 tonnellate/anno mentre Cina ed India ne emettano 11 miliardi in più. Le emissioni di Co2 dell’Unione Europea sono circa il 9% del totale mondiale e quelle dell’Italia appena lo 0.9%. La Germania, all’interno dell’UE, ha la maglia nera con una quota carbone che è una volta e mezza la media UE. Per “uscire dai fossili” 22 paesi hanno sottoscritto in quella sede una dichiarazione a favore del nucleare. Spiace constatare che l’Italia non abbia firmato.

Zollino ricorda che, nonostante le restrizioni, l’energia elettronucleare (124 reattori in 14 paesi membri) produceva, nel 2020, il 25% del fabbisogno UE, pari a 680twh, seguita da elettricità generata da impianti a gas (585 Twh), da impianti eolici (397 Twh), da impianti idroelettrici (374 Twh) e da centrali a carbone (357Twh). Rispetto al 2000 si sono perse 280Twh di produzione nucleare (chiusura di Fessenheim in Francia e delle centrali in Baviera) che avrebbero potuto sostituire quasi completamente i 357 Twh a carbone con un risparmio di 250 milioni di tonnellate di Co2 annui.

La transazione energetica - continua Zollino - deve essere sostenibile sotto tre punti di vista: sociale, economico ed ambientale. L’energia in futuro deve essere pienamente sostenibile nel Mondo intero: per questo è necessario sviluppare ed accettare, senza pregiudizi di sorta, tutte le tecnologie idonee. Se l’obiettivo è l’eliminazione delle emissioni di Co2, bisogna sostituire le fonti fossili, che oggi nel mondo garantiscono l’80% del fabbisogno di energia, con tecnologie e fonti ad emissioni zero. E ci servono tutte; gas, abbinato alla cattura di Co2, fonti rinnovabili e nucleare.

Zollino smonta anche il tabù delle scorie radioattive: 1 kg di uranio produce la stessa quantità di energia della combustione di 3000 tonnellate di carbone. Un reattore nucleare di ultima generazione, da 1000 MW, nei suoi 60 anni di vita, produce circa 1.5 metri cubi di rifiuti radioattivi ad alta attività. Una flotta nucleare da 30-35 GW darebbe in Italia un contributo alla decarbonizzazione e ne produrrebbe in tutto circa 55 metri cubi. Zollino ricorda che in tutti i Paesi in cui si utilizza l’energia nucleare, la gestione dei rifiuti radioattivi segue procedure sicure che non hanno mai causato incidenti.

L’Italia sull’onda emotiva di Chernobyl prima e di Fukushima poi ha sempre rifiutato di aderire ad un vero e proprio programma nucleare contrariamente alla Francia.

Vale la pena di leggere il libro di memorie “Haute Tension” che Marcel Boiteux (1922-2023), architetto del nucleare francese, scrisse nel 1993: libro che sembra scritto ieri!

Le centrali nucleari, si legge nel libro, hanno l’immenso merito di non scaricare nell’atmosfera milioni di tonnellate di gas carbonico e di acidi solforici ed azotici che minacciano i nostri polmoni e lo strato di ozono dell’atmosfera. È vero che, in contropartita, una centrale riversa nei corsi d’acqua adiacenti tracce di radioattività che sono tuttavia insignificanti se comparate alla radioattività naturale. Le scorie? Le più pericolose rappresentano un grammo per anno per famiglia. Nulla se comparati alle tre tonnellate annue di rifiuti della vita quotidiana, tra i quali il mercurio ed altri metalli pesanti, la cui nocività è eterna. In ogni caso le scorie radioattive non hanno mai rappresentato un problema per la Francia.

Nelle centrali nucleari - continua Boiteux - l’uomo utilizza la radioattività naturale, l’accelera, la modifica, ma non cambia la natura delle cose perché la radioattività avvolge il globo terrestre. Chernobyl? “Non si trattò di un incidente nucleare, ma di un incidente sovietico. Questo incidente conforta una posizione che i francesi hanno sempre preso; le centrali nucleari servono, ma è un crimine costruirle in zone in cui non ci sono sufficienti fonti d’acqua.” Il rischio di morire a causa di un incidente nucleare è pari alla possibilità di ricevere una meteorite in testa; infatti, in Francia, non si è mai verificato il minimo incidente.

Un altro argomento usato contro il nucleare è che favorisce la diffusione di armi nucleari. Boiteux ironizza; “bisogna forse rinunciare alla chimica su pretesto che esistono orribili armi chimiche?” L’energia nucleare è la principale fonte di energia pulita disponibile. Rappresenta una risorsa e non certo una minaccia.

La Francia ha iniziato a sviluppare il suo programma nucleare negli anni 50 con l’inaugurazione della centrale di Chinon. Una scelta precisa del generale de Gaulle che ambiva all’autonomia energetica. Tutti i Presidenti francesi hanno sviluppato la filiera nucleare sino ad Hollande, che in virtù di un accordo elettorale con i verdi, si impegnò a ridurre la dipendenza dal nucleare dal 75% al 50%, sviluppando le energie alternative, in particolare l’eolico. A causa di questo accordo venne chiusa la centrale di Fessenheim e indebolita la filiera. Macron, dopo qualche titubanza iniziale, ha ripreso il programma nucleare.

Dopo 12 anni di ritardo nella costruzione, la prima centrale EPR (ad acqua pressurizzata) francese è stata approvata dall’autorità nazionale per la sicurezza nucleare (ASN). L’impianto di Flamanville è il reattore più potente di Francia e sarà in grado di fornire energia a due milioni di abitazioni.

La Francia sta anche sviluppando ITER a Cadarache che dovrebbe dar vita alla prima centrale a fusione nucleare; in questo percorso l’Italia è protagonista di primo piano con i suoi Enti di ricerca e, come ricorda Zollino, l’Italia è tra i pionieri della ricerca e delle tecnologie per la Fusione ed è tra i principali fornitori di componenti per ITER.
Sarà sufficiente a vincere i vecchi pregiudizi e a dotare finalmente anche l’Italia, sull’esempio francese, di una filiera nucleare? C’è da augurarselo.