Il Festival delle Scienze, che si tiene a Roma dal 23 al 26 gennaio, ha quest'anno per tema il rapporto tra realtà e linguaggio. Federica Colonna segue l'evento per Strade. Questo articolo tratta dell'incapacità della ricerca biomedica di raccontare sé stessa usando parole semplici e comprensibili, e di un Noam Chomsky che delude le aspettative, almeno finché si parla di politica. Qui l'articolo sulla giornata precedente.

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«Con una borsetta, una lampada e un pezzo di lardo di colonnata non si va molto lontano». Parola di Daniela Minerva, giornalista e autrice, insieme a Silvio Monfardini, uno dei padri della chemioterapia, de “Il bagnino e i samurai. La ricerca biomedica in Italia: una occasione mancata” - 2013, Codice Edizioni, p. 293 - presentato durante la seconda giornata del Festival delle Scienze di Roma. Se, la tesi, il nostro paese non investe in ricerca medica e non attrae capitali in questo settore, se rinuncia così a creare intelligenza collettiva e si accontenta del mito delle 3F – food, fashion and forniture: lardo, borse e arredi, appunto – è colpa del bagnino, Carlo Sama, reo di aver svenduto Farmitalia agli svedesi. Ma anche colpa, spiegano i relatori, tra cui Ignazio Marino, di una comunicazione medica difficile e orientata in via pressoché esclusiva agli addetti ai lavori e agli esperti.

La storia del libro è la cronaca di un delitto: in Italia la ricerca biomedica è stata uccisa. E oggi l'Italia riveste un ruolo di secondo piano nel mercato farmacologico, a causa, spiega Pierluigi Antonelli, amministratore delegato MSD, dei nostri soliti noti malanni: miopia e burocrazia. I samurai, però, sette ricercatori oncologici dell'istituto Tumori di Milano, negli anni Sessanta stavano per compiere la grande impresa di rendere il paese una vera eccellenza planetaria. Guidati da Gianni Bonadonna avevano infatti abbracciato l'epocale sfida d'America: sconfiggere il cancro. Avevano trovato la formula magica per provare a farlo: l'adriamicina, una rivoluzione nell'ambito delle cure oncologiche.  Avrebbero non solo raggiunto un successo in termini medici ma anche impreditoriali, trasformando Farmitalia, del gruppo Montedison, in una vera eccellenza. Si scontrarono però con il bagnino, Carlo Sama, entrato nelle grazie della famiglia Ferruzzi, il quale, al vertice del gruppo Montedison, (s)vendette la farmaceutica italiana. In estrema e incompleta sintesi ecco la storia: da una parte i visionari dall'altra la manchevolezza dell'impresa e della politica di casa nostra.

Ma se queste sono più o meno le vicende e se, come Marino stesso sostiene, la colpa del misfatto è soprattutto della politica, oggi la medicina commette comunque, in prima persona, un peccato. Non sa raccontarsi. La sfida degli oncologi, dei medici, di chi lavora negli IRCCS – istituti di ricovero e cura a carattere scientifico – non si trasforma in un grande romanzo collettivo. E l'opinione pubblica resta in balia de Le Iene. E dei casi Stamina - «I miei studenti – sostiene per esempio un professore dal pubblico – non conoscono la differenza tra cellule staminali e stamina», perché nessuno, evidentemente, gliel'ha saputa spiegare. «Usate un linguaggio da terza media – suggerisce invece Marino – ecco cosa ti insegnano negli USA»: a divulgare la scienza attraverso storie, parole semplici, esempi e paragoni concreti con la realtà più quotidiana. La ricerca biomedica, in sostanza, non diventerà un sogno comune se non la capisce l'arcinota casalinga di Voghera. È sempre una questione di linguaggio: le parole che usiamo funzionano come stimolo e attivano non solo aree del cervello ma anche desideri di futuro in grado di orientare la politica.

In quale direzione? Quella sbagliata, secondo Noam Chomsky. “Conversazioni con Chomsky. Le storture del mondo globalizzato nelle analisi di un grande filosofo” è la talk-opera che chiude la seconda giornata del Festival: un insieme di musica, con il direttore Tonino Battista, composizione video, ideata e realizzata da Emanuele Casale, e parole, di Chomsky appunto. Un evento d'avanguardia dalle grandi potenzialità esplorative e sperimentali. Ma un po' ripetitivo e ridondante. Se l'effetto musica – appassionata, accorata, inquietante – e immagini – con i discorsi di John W. Bush, Margaret Thatcher e Silvio Berlusconi – è suggestivo, le sintesi del linguista, un guru nel proprio ambito disciplinare, sono meno d'impatto. Il grande innovatore del linguaggio non lo è, insomma, nella politica. Emerge solo qualche sprazzo di genio e due sono le intuizioni più stimolanti.

La prima: il potere, nella forma della politica e delle istituzioni, tenta di limitare la naturale e dirompente creatività del linguaggio attraverso specifiche tecniche di disciplina. In sostanza: aveva ragione George Orwell. Quando, nella “Introduzione alla fattoria degli animali” scriveva come nell'Inghilterra libera le idee poco popolari potevano essere fermate senza l'uso della forza. Ma, continua Chomsky, con la scuola, l'educazione, il discorso pubblico che modella e forgia la realtà comune. L'idea più affascinante, però, riguarda l'uomo e la capacità di amare gli altri. Tante teorie economiche, spiega il linguista, si fondano sull'egoismo dell'essere umano, proiettato alla difesa del sé e dei propri interessi. La genetica, però, e gli studi più recenti hanno dimostrato come negli animali esiste una propensione biologica alla cura dell'altro. Che, nel caso più evidente degli umani, non riguarda solo i soggetti più prossimi né è legata esclusivamente alla riproduzione e alla protezione del piccolo gruppo.

Tanti uomini e tante donne, racconta Chomsky, in New England vanno ogni inverno a salvare i delfini. Perché lo fanno? E perché alcuni individui si uniscono alle battaglie dei popoli più distanti, per assicurare a villaggi sperduti la distribuzione dell'acqua e la libera coltivazione del suolo? Perché, forse, è la genetica che li spinge a battersi contro il potere e aiutare i più deboli.

All'uscita del Festival, però, qualcuno si chiede: «Che si fa? Andiamo a bruciare le banche?». Oppure, sostiene qualcun altro in sala, andiamo a votare i 5Stelle?