Franco contro euro, le banche centrali navigano a vista
Istituzioni ed economia
La rivalutazione improvvisa del franco svizzero nei giorni scorsi ha provocato un vero e proprio terremoto valutario. La banca centrale svizzera, di punto in bianco, ha abbandonato la soglia minima di rivalutazione di 1,2 franchi per euro. Molti investitori e speculatori, colti di sorpresa, stanno ancora leccandosi le ferite, mentre diverse importanti aziende esportatrici elvetiche hanno pagato la decisione registrando pesanti perdite in borsa.
La soglia minima, fissata oltre tre anni fa in piena crisi dell'euro, impediva che un apprezzamento eccessivo del franco danneggiasse la competitività degli esportatori e del settore turistico svizzero. Ora che il franco è libero di rivalutarsi, quella protezione non c'è più, e i contraccolpi sull'economia elvetica saranno inevitabili.
Molti si interrogano sui possibili retroscena di una decisione che appare puramente autolesionista, e che, secondo i canoni dell'ortodossia, potrebbe danneggiare seriamente la credibilità della banca centrale svizzera e l'efficacia futura della sua politica monetaria.
In realtà, tuttavia, non ci sono grandi retroscena da scoprire. Quello che è accaduto è molto semplice: la banca centrale ha smesso di difendere la soglia minima di rivalutazione prima di esservi costretta dalla pressione dei mercati. Quanto ai danni "reali" all'economia e a quelli "presunti" sulla credibilità della politica monetaria, forse è il caso di soppesarli adeguatamente prima di fasciarsi la testa. Perché probabilmente ci sarebbero stati danni ben peggiori se la decisione dei giorni scorsi non fosse stata presa. Vediamo perché.
I mercati ormai danno per scontato che la BCE avvierà il programma di Quantitative Easing (QE), che acquisterà almeno 500 miliardi di euro di titoli sovrani e almeno 100 miliardi di titoli corporate privati dell'eurozona. In conseguenza di ciò la moneta unica, inevitabilmente, si svaluterà. Ogni incertezza residua in proposito è stata dissipata dalla recente pronuncia della Corte di Giustizia europea, che si è espressa in senso favorevole sulle operazioni di OMT (Outright Monetary Transactions), già svolte in passato dalla BCE, avallando di fatto anche il futuro programma di QE.
Di fronte alla "potenza di fuoco" della BCE e dei mercati, dichiarare la difesa a oltranza della soglia minima di rivalutazione avrebbe solo alimentato la speculazione al rialzo sul franco svizzero. Operatori finanziari e speculatori avrebbero chiesto sempre più franchi, certi che presto o tardi la valuta elvetica si sarebbe rivalutata.
Dal canto loro, le autorità monetarie svizzere sarebbero state costrette ad acquistare quantativi sempre più ingenti di euro. Le riserve di valuta estera della banca centrale svizzera, che negli ultimi tre anni sono praticamente raddoppiate, sarebbero cresciute in modo enorme, e la inevitabile svalutazione dell'euro alla fine avrebbe prodotto perdite veramente ingenti. Queste ultime, peraltro, sarebbero ricadute soprattutto sulle autorità cantonali, che sono tra i principali soggetti proprietari della banca centrale svizzera dalla quale ogni anno ricevono parte dei dividendi.
Evitare perdite sugli investimenti valutari mi sembra già una buona ragione, ma il motivo più importante della decisione forse è un altro ancora. L'afflusso di capitali in Svizzera, già ingente di per sé in tempi normali, si sarebbe moltiplicato con la speculazione al rialzo sul franco, e avrebbe esercitato un impatto fatale sul mercato immobiliare elvetico. Secondo le rilevazioni più accreditate, da oltre un anno il mercato immobiliare svizzero è a "rischio bolla". I danni di una bolla immobiliare sul sistema bancario elvetico e sull'economia sarebbero molto più gravi di quelli prodotti dalla decisione dei giorni scorsi. E probabilmente le autorità monetarie svizzere stanno proprio tentando di arginare questo pericolo ormai incombente.
Nessun retroscena misterioso, dunque, ma soltanto il paradosso di un paese che in questi tempi straordinari è costretto a difendersi dal potere della propria moneta. In poche parole, quella di lasciare liberamente rivalutare il franco è una decisione imposta dalla contingenza dei mercati, nel tentativo di ritardare una nuova grave crisi finanziaria. In barba alla credibilità e alle regole standard della politica monetaria.
Viviamo una fase storica decisamente fuori dall'ordinario. Le autorità monetarie sono scese dal piedistallo del regolatore super partes e hanno preso posto in prima linea per difendere il sistema finanziario dalla turbolenza e dalle bolle speculative che ne minano la stabilità. I banchieri centrali debbono preoccuparsi di arginare gli effetti di una catastrofe incombente, e non hanno più tempo di pensare ai precetti ortodossi della politica monetaria.
Forse rimpiangono i tempi passati dell'ordinaria amministrazione. I tempi in cui i loro predecessori abbandonarono la retta via, violarono quegli stessi precetti e così facendo gettarono i semi della catastrofe. Però ormai è tardi. Ed è inutile ricordar loro che si stanno muovendo fuori dalle regole della politica monetaria. Lo sanno benissimo. Solo che, volenti o nolenti, debbono navigare a vista.