Fine vita, l’Italia a due velocità
Istituzioni ed economia

L’Italia del fine vita è un mosaico diseguale. Da nord a sud si alternano regioni che hanno scelto di regolamentare il suicidio medicalmente assistito, rendendo applicabili le indicazioni della Corte costituzionale, e altre che restano prigioniere dell’immobilismo politico.
Tra queste, la Campania rappresenta oggi il caso più emblematico di un’occasione perduta: una proposta di legge presentata a marzo 2025 dal consigliere Luigi “Gino” Abbate, che avrebbe potuto colmare il vuoto legislativo regionale, non è mai arrivata in Aula e scadrà con la fine della legislatura.
In Toscana, la giunta ha approvato nel 2024 un regolamento operativo che disciplina i passaggi sanitari del suicidio assistito, definendo comitati clinico-etici territoriali, tempi di valutazione e responsabilità delle aziende sanitarie.
In Emilia-Romagna, le linee guida adottate a inizio 2025 hanno introdotto procedure standard per l’istruttoria dei casi, assicurando il raccordo tra medici, psicologi e comitati etici.
Queste Regioni non hanno forzato i limiti fissati dalla sentenza n. 242/2019 della Consulta — che consente l’aiuto al suicidio solo in presenza di malattia irreversibile, sofferenza intollerabile, dipendenza da sostegni vitali e volontà libera e consapevole — ma hanno dato un quadro pratico, sanitario e verificabile a una materia che in Italia continua a restare sospesa.
Diversa la storia campana. Il testo presentato da Gino Abbate, medico e consigliere regionale, prevedeva la creazione di équipe multidisciplinari presso le ASL, con tempi certi per la valutazione delle richieste e obbligo di risposta per le strutture pubbliche. Una legge di garanzia, non certo una liberalizzazione, che avrebbe permesso alla Campania di allinearsi ai modelli più avanzati del Paese.
«Ho presentato una proposta che non apre a derive etiche, ma garantisce certezza del diritto — aveva dichiarato Abbate — perché nessun cittadino deve restare prigioniero del silenzio amministrativo davanti a una scelta estrema.»
La proposta, incardinata nella V Commissione Sanità, è rimasta bloccata per mesi e non ha mai raggiunto l’Aula. A settembre, a un mese dalla fine della legislatura, il Consiglio regionale ha chiuso i lavori senza calendarizzarla.
«Si è perso un anno e si sono persi cittadini che chiedevano solo chiarezza», ha commentato laconicamente Abbate.
La differenza tra le Regioni che legiferano e quelle che tacciono non è solo politica, ma di tutela dei diritti. In Toscana o in Emilia-Romagna, i pazienti che rispettano i criteri stabiliti dalla Consulta possono presentare domanda e ricevere una valutazione sanitaria entro tempi definiti. In Campania — come in buona parte del Mezzogiorno — non esiste alcuna procedura: ogni caso è lasciato all’iniziativa delle singole ASL o ai tribunali.
L’assenza di una norma crea una diseguaglianza profonda tra cittadini che vivono nello stesso Paese. «È una pagina di ipocrisia politica — ha denunciato Abbate — si è preferito tacere per paura di toccare un tema divisivo. Ma il silenzio non è neutralità: è un modo per lavarsi le mani del dolore altrui.»
E ancora: «La dignità non può essere un tabù politico. Se non lo approviamo ora, non sarà solo un fallimento legislativo, ma un atto di viltà morale.»






