Trump 2024

Con la vittoria di Trump, il futuro prossimo delle relazioni Usa-Ue (e quindi internazionali in genere) sarà probabilmente caratterizzato da un'accentuazione della già scarsa considerazione dell'Unione come interlocutore. Meno relazioni multilaterali, e - al più - maggiore bilateralismo Usa-singoli stati europei.

Questo meccanismo implica l'assunzione di importanti responsabilità per gli attori continentali, a cominciare dalla gestione della situazione Ucraina. Dell'incalcolabile Trump conosciamo infatti scetticismo verso le alleanze occidentali e simpatie per Putin, e in generale una certa fascinazione nei confronti degli autocrati (sentimenti condivisi con Vance, che considera gli interessi della Russia come piuttosto rilevanti): posizioni decisamente allineate a quelle dei leader dell’estrema destra europea.

Se il rapporto con gli States dovesse cambiare in maniera sostanziale, con l'amministrazione trumpista che decidesse ad esempio di lasciare sola l'Ucraina (la sensazione diffusa, ad oggi, è che si apparecchi una sostanziosa amputazione territoriale, con Trump che ha già fatto capire che intende ridurre o addirittura interrompere fornitura di armi e sostegno economico agli ucraini), i paesi europei sarebbero costretti ad unirsi, ancor più che in pandemia o dopo i primi mesi dell'invasione russa.

Se gli Usa possono permettersi di sfilarsi, perdendo però credibilità globale e abbandonando per forza di cose l'idea di poter agire da faro dell'ordine internazionale, gli europei hanno già l'esercito russo in casa: il progetto di Putin con Trump ha ottenuto un altro tassello, dove Mosca figurativamente avanza. Nel migliore dei casi, con il tycoon di nuovo nello Studio Ovale, salirà la pressione sugli ucraini per arrivare a una forma di negoziazione: tregua congelata, tavolo diplomatico.

Per l’Unione (e per la stessa Nato), i meccanismi potrebbero essere molto divisivi, comportando comunque rischi rilevanti, con l'esito immediato di rafforzare Putin sul fronte interno, potendo più facilmente spingerlo a nuove azioni militari. La Russia è in guerra contro il sistema di sicurezza occidentale, e qui l'Europa deve prenderne consapevolezza, autonomamente e il prima possibile. Con Kim - su richiesta del Cremlino - e per la prima volta dopo secoli, militari asiatici sono entrati in guerra contro popolazioni europee, il tutto scorrendo sotto un diffuso silenzio.

È pur vero che la stessa amministrazione Biden ha vietato l'utilizzo a lunga gittata delle armi occidentali (fornite tra l'altro in quantità residuali, rispetto a quanto promesso), ma l'ancoraggio alla Nato non è mai stato - ovviamente - in discussione. Se è probabile che gli Stati Uniti focalizzeranno le loro risorse in politica interna, è però molto difficile, anche con il cambio della guardia, una effettiva fuoriuscita dalla Nato. La critica principale che viene fatta è infatti di tipo economico, nella volontà di ridurre un impegno troppo ingente, con l'idea che lo si stia assumendo esclusivamente per difendere altri.

Questa è la conseguenza di un approccio eccessivamente "contabile" alla politica estera. Portato alle estreme conseguenze da The Donald, arriva ad indicare la Cina come vero grande nemico degli Usa, criticando allo stesso tempo Taiwan per i costi che comporta la tutela della Repubblica proprio dalle mire della dittatura cinese. Come gli stessi Stati Uniti hanno compreso dopo la Seconda guerra mondiale con il Piano Marshall, la fedeltà dei paesi esteri non è assicurata: in questo senso, anche dal punto di vista americano si assisterebbe a una rinuncia ad alleati e a storiche amicizie, non ottenendo alcun tipo di vantaggio, ma anzi con tutte le negative implicazioni che ciò comporterebbe in un mondo così interconnesso.

Per quel che riguarda la politica commerciale, il protezionismo trumpiano annuncia un ritorno di dazi durissimi non solo sui prodotti cinesi, ma anche su quelli europei, più pesanti di quelli in vigore nel periodo 2017-2021. Se la volontà di riprendere la guerra doganale con la Cina pare forte - poche certezze, ma che la grande rivalità con i cinesi segnerà il prossimo quadriennio è una di queste, bisognerà poi cogliere in quali vesti - i problemi potrebbero arrivare anche per i paesi europei che basano la propria economia sulle esportazioni e che hanno negli Usa un partner commerciale privilegiato, come l'Italia.

I dazi non solo danneggiano la competitività del paese che li mette (causando prezzi e costi di produzione più alti), ma implicano altre barriere doganali come risposta da parte di chi ne è colpito. Il rischio, quindi, è che Trump scateni una successione di reazioni internazionali, con la logica conseguenza di impoverire il commercio mondiale e dunque le condizioni di vita delle persone. Un mondo incerto si farebbe ancora più incerto: Trump ha un approccio per il quale in ogni partita di transazione, politica o economica che sia, esiste sempre un vincitore e un perdente, muovendosi in un superficiale gioco a somma zero.

Stiamo già vedendo segnali nei mercati, dove l’euro è sceso del 2% nel giorno dopo le elezioni in previsione dei dazi. Serve un europeismo spinto, che è un europeismo dell'integrazione nelle materie decisive, non potendosi limitare alle fughe in avanti nella tutela dei diritti e all'ecologismo del Green Deal. Aprire gli occhi, agendo nella percezione delle persone, spiegando e facendo passare il concetto per il quale alcune scelte e posizionamenti di politica estera e politiche pubbliche combattono prosperità e progresso, peggiorando oggettivamente il benessere dei cittadini.

Siamo di fronte alla rottura definitiva del modello per cui ci siamo sostentati comprando energia a basso costo dalla Russia e merci economiche dalla Cina, appaltando completamente l'intero apparato di sicurezza e difesa agli Usa. Per tutti questi motivi, il ritorno di The Donald alla Casa Bianca può aprire - sebbene l'argomentazione possa apparire apparentemente controintuitiva - opportunità importanti per il rilancio dell'Ue: l'Europa, a questo punto, dovrà farsi da sola, e la storia del Continente e dell'impianto istituzionale europeo forniscono un minimo di fiducia residuale, mostrando come le crisi hanno spesso accelerato i processi di integrazione.

Abbiamo una strada davanti da percorrere, dove il trumpismo può agire da fonte di bozza di unione politica: il cambiamento per l'Europa dovrà essere sostanziale - in questo senso, sfogliare il rapporto Draghi potrebbe aiutare. Se l'Atlantico si allarga, serve per forza più Europa. Paesi e leader che credono nella forza costruttiva dell'Unione sono chiamati a fare di più, a livello politico, commerciale e militare con ambizione e prospettiva, il tutto sotto l'egida della forza istituzionale dello Stato di diritto, andando oltre paure e demagogie varie, in un patto di coesistenza virtuosa con il sistema mediatico e informativo, oggi priorità pedagogica e culturale. Bagno di realtà, con ascolto e umiltà verso i bisogni degli individui: sveglia e coraggio, Europa, che è ora.