La Geopolitica come metodo, la Geopolitica come limite: un abuso di illusioni, dove lo spazio conta più delle idee
Istituzioni ed economia

Soprattutto dall'invasione dell'Ucraina in poi, la geopolitica ha conquistato un ruolo centrale nel dibattito pubblico, in particolare quello nazionale, arrivando a essere usata come sinonimo di politica internazionale o relazioni internazionali. Tuttavia, questa fruizione spropositata e semplificatoria, nel suo errato parallelismo, ha generato una tendenza che non tiene conto dei limiti della geopolitica come approccio di studio e analisi, spesso parziale e riduttivo.
La geopolitica classica, intesa come analisi della politica internazionale attraverso la lente delle variabili geografiche (non solo sul piano fisico, ma anche su quello economico e di sviluppo), è nata come disciplina autonoma all’inizio del Novecento. Basandosi sul concetto di posizionamento geografico e sulle risorse territoriali, descrive i comportamenti degli stati come risultato di vincoli spaziali, che condizionano - meglio ancora determinano - le decisioni politiche in maniera sostanzialmente inevitabile. Da qui una prima criticità, e cioè quella che rischia di sfociare in un approssimativo determinismo geografico.
Nella geopolitica classica, inoltre, lo scacchiere internazionale è considerato un sistema di competizione nel quale i singoli paesi sono in conflitto tra loro nell'affermazione del proprio "spazio vitale", generando un quadro di gioco a somma zero come implicazione dei rapporti di forza, in cui multilateralismo e cooperazione diventano secondari.
Mezzo principe e pilastro della geopolitica è la cartografia: la mappatura diviene in questo senso essenziale per rappresentare il mondo in modo schematico, con territori e confini ben definiti. Questo feticismo cartografico tende però a semplificare eccessivamente, riducendo gli stati a entità monolitiche con interessi statici e immutabili. Tale chiave di lettura nell'interpretazione dei conflitti, apparentemente oggettiva e universale, si scontra con le dinamiche interne agli stati, non considerando la moltitudine di sfaccettature delle società moderne presenti al loro interno, in cui esistono individui, principi, volontà di autodeterminazione, molteplici attori e altrettanti interessi contrastanti.
Riducendo l'analisi delle relazioni internazionali a una questione di “spazio” e “risorse”, trascurando fattori cruciali come l’identità culturale, le ambizioni e le leadership individuali, la geopolitica diviene eccessivamente realista e a-valutativa. Quando comparata a una scienza, degenera in fonte di predizione, con caratteristiche prescrittive che lasciano di per sé molti dubbi. La storia della geopolitica è, per di più, legata a quella di regimi autoritari e politiche espansionistico-territoriali. Il termine “geopolitica” fu inventato all’inizio del secolo dal politologo Kjéllen, conservatore nazionalista, noto per una prospettiva piuttosto aggressiva della politica estera.
La teoria si è poi sviluppata in un momento storico in cui vari paesi europei, come Germania e Italia, coltivavano il desiderio di affermarsi come grandi potenze. Sotto il nazismo, la geopolitica divenne un’ideologia legittimante il concetto di Lebensraum, lo spazio vitale che la Germania avrebbe dovuto acquisire con la forza per garantire la sopravvivenza della nazione. In forme diverse, accadde anche con governi autoritari dei giorni nostri. Tra questi c’è la Russia putiniana, il cui regime sostiene che il paese abbia un preciso "destino geopolitico". Putin si è paragonato allo zar Pietro il Grande, affermando che nel "riconquistare" l'Ucraina sta il "destino storico" del Cremlino. Ciò non vuol dire che la geopolitica sia usata solo da regimi: negli ultimi anni, per esempio, del termine si è servita a più riprese la Commissione Europea.
Ma sono i governi autoritari che quasi sempre fanno uso della geopolitica come strumento di propaganda retorica, internamente e all'esterno. Questa elaborazione - il più delle volte velleitaria - permette agli esecutivi di consolidare il proprio potere, giustificando l’uso della forza come strumento legittimo di politica estera. Le azioni militari arrivano ad essere considerate inevitabili e necessarie, ignorando scelte e volontà dei popoli coinvolti. Sono tanti i commentatori che, da ormai più di due anni e mezzo, ci spiegano l’invasione russa in termini geopolitici, parlando di “espansione della Nato” e di “sfera d’influenza” russa.
Tuttavia, queste espressioni tendono a trascurare aspetti importanti, come appunto le aspirazioni dei Paesi ex sovietici che hanno scelto di aderire alla (o vorrebbero volontariamente scegliere la) Nato per proteggersi dalla minaccia russa, in maniera autonoma, sulla base di esigenze di sicurezza e sviluppo politico. Recentemente Romano Prodi, seppur con altra autorevolezza e diverso tenore, ha affermato che l'Ucraina sarebbe dovuta rimanere uno stato cuscinetto. Potrebbe avere anche ragione, normativamente parlando, ma questa lettura non tiene conto, appunto, della dinamica interna, in questo caso ucraina, che fa fiorire la volontà dei popoli sulla base di precisi indirizzi che in qualche maniera impongono la messa in discussione della stessa politica estera degli stati.
Allo stesso tempo, dire che la Russia ha invaso l’Ucraina per “difendere la sua sfera d’influenza” (espressione comunque fumosa e usata perlopiù, ancora, per fini demagogici) rischia di sottovalutare le tensioni che esistono all’interno del regime. Tende inoltre a non considerare le risapute ossessioni storico-culturali di Putin, il cui obiettivo internazionale ormai datato è quello di innalzare a potenza protagonista la "grande" Russia. Così interpretando fatti ed eventi – quasi togliendo libero arbitrio alle guide politiche di un paese – si arriva a conclusioni pericolose, che delineerebbero un egual comportamento pure se il presidente fosse un politico diverso da quello in carica.
Un altro prodotto interpretativo della teoria geopolitica proprio della guerra in Ucraina è quello della "guerra per procura", ossia l'argomentazione secondo la quale l'invio di armi avrebbe spinto l'Occidente a "usare" gli ucraini per combattere la Russia. La problematica logico-cognitiva è sempre la stessa, ossia la mancata considerazione di volontà politiche e ambizioni di stati con meno peso come l'Ucraina, troppo spesso relegati a "vassalli" di attori globali "imperiali", che ordinerebbero loro come muoversi. Non si valutano poi le distanze tra Stati Uniti e paesi europei (oltre che tra gli stessi stati europei), ognuno dei quali ha deciso del proprio invio di aiuti militari in maniera differente, sulla base di scelte di politica interna ed estera legate a più fattori - volontà delle forze politiche, vicinanza al Cremlino, grado di timore per un coinvolgimento più ampio. La decisione di inviare quante e quali armi non è stata inevitabile in quanto tale, ma frutto di processi politici complessi, che la teoria geopolitica spesso sembra trascurare.
Nel considerare l'unica fonte di potere interna a uno Stato quella del governo centrale, la geopolitica finisce infine per svilire il ruolo degli organi sovranazionali e delle organizzazioni non governative, che pure rivestono una funzione di rilievo in tanti contesti, agendo a volte in maniera decisiva. Riassumendo: la geopolitica, meglio ancora il suo utilizzo, può essere utile per comprendere alcune dinamiche, non risultando però sufficiente come strumento esclusivo nell'interpretazione della politica internazionale. Gli interessi di un Paese per il modo in cui vengono letti dalla geopolitica possono avere una loro importanza, ma ragionare esclusivamente in questi termini rischia di essere riduttivo ed eccessivamente semplificatorio. In un'epoca caratterizzata da crescente interdipendenza e frammentarietà, il potere non può poi essere considerato concentrato unicamente nelle mani dei governi centrali.
La politica internazionale è un campo multidimensionale, che richiede uno sguardo più ampio e flessibile, capace di integrare fattori economici, culturali e tecnologici, pena risultare riduttivi e inadeguati nelle analisi. La geopolitica non coglie infatti appieno nemmeno innovazioni e cambiamenti temporali: le rivoluzioni tecnologiche nel campo dei trasporti, della comunicazione e degli armamenti - le politiche di innovazione in genere - hanno modificato profondamente dinamiche di potere e interdipendenza, rendendo la visione classica sempre meno adeguata.
La crescente interdipendenza tra Stati e la difficoltà delle sfide di interconnessione richiedono strumenti analitici più completi e sofisticati, che siano in grado di porre attenzione anche a aspetti molto diversi. Se applicata - come avviene in larga parte in Italia - senza una prospettiva critica e aperta ai cambiamenti storici e sociali, che superi la rigida contrapposizione tra potenze riconoscendo l'importanza di attori non statali e processi interni ai sistemi-paese, la geopolitica finisce per risultare solo un grande equivoco interpretativo.
