Balladur grande

L’Europa sta perdendo i popoli per strada e rischia di diventare una locomotiva senza vagoni? Come si possono riconciliare le elites con un’opinione pubblica sempre più euro-scettica?

Edouard Balladur, primo ministro di Mitterand dal 1993 al 1995, cerca di dare una risposta in un articolo pubblicato sul think-tank liberale, progressista ed europeo Fondapol (fondazione per l’innovazione politica). Negli ultimi trent’anni il mondo è cambiato a scapito dell’Europa e la Francia è cambiata ancora di più ed oggi appare sempre più vulnerabile ed indifesa, minacciata di implosione.

Può l'Unione europea contribuire alla ripresa di una Francia indebolita nelle sue funzioni vitali? Non è certo.

La costruzione europea è oggi in panne e per porre rimedio a questa situazione serve un chiarimento rivedendo le competenze tra gli stati membri, tenendo in considerazione gli equilibri demografici in seno all’Unione e precisando il ruolo dei giudici nazionali e sovranazionali. Prima di ulteriori allargamenti occorre stabilire una visione comune di lungo periodo.

L’Unione europea è formata da 27 paesi che parlano 24 lingue. Ognuno vuole salvaguardare la propria identità, cosa che non esclude di esercitare alcune competenze in comune. Tuttavia è necessario -secondo Balladur- rivedere più equamente la ripartizione, tra i membri dell’Unione, dei posti in seno alla Commissione, al Parlamento, oltre che dei voti attribuiti a ciascuno nel Consiglio europeo. Il realismo lo richiede. Ad esempio, i tre paesi baltici con sei milioni di abitanti dispongono di tre commissari, al pari dei tre paesi europei più popolosi, Germania, Francia ed Italia, che rappresentano 210 milioni di abitanti.

Se l’Albania, la Bosnia e il Kosovo, che rappresentano otto milioni di abitanti, aderissero all’Unione, avrebbero diritto a tre commissari, giungendo al paradosso che, uniti ai paesi baltici, rappresenterebbero un gruppo di sei paesi con quindici milioni di abitanti, con un numero di commissari doppio rispetto ai tre paesi più popolosi!

Lo stesso squilibrio esiste nella composizione del Parlamento europeo, dove la Germania ha 96 deputati, la Francia 79 e l’Italia 76, vale a dire 251 deputati per 210 milioni di abitanti (un deputato ogni 836 mila abitanti), mentre la Lituania ha 11 deputati, la Lettonia 8 e l’Estonia 7, cioè 26 deputati per sei milioni di abitanti (un deputato ogni 230 mila abitanti). In quanto al Consiglio europeo, dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona, ogni stato membro dispone di un voto e la minoranza di blocco necessita di quattro paesi membri che rappresentino almeno il 35% della popolazione europea. L’Italia, la Germania e la Francia non possono bloccare da soli un testo perché servono almeno quattro paesi.

Per Balladur è indispensabile rivedere queste ripartizioni in quanto queste disposizioni penalizzano le nazioni più importanti. In ogni caso la Francia, forte della sua tradizione gollista, deve mantenere una certa indipendenza in campo diplomatico e militare in seno al Consiglio di sicurezza a causa della dissuasione nucleare di cui è in possesso.

Inoltre avendo appena inserito l’IVG nella Costituzione, la Francia non può sottomettersi ad eventuali direttive europee regressive in tema di diritti, sulla bioetica, il fine vita e la maternità surrogata. Paesi che gravitavano nell’orbita sovietica come l’Ungheria non possono certo dare lezioni di democrazia liberale alla Patria universale dei diritti dell’uomo.

Ci sono profonde differenze tra l’Europa occidentale e l’Europa orientale specie in materia di libertà e diritti civili. Sarebbe opportuno interrogarsi su questo aspetto. Un chiarimento è necessario onde evitare la paralisi e la disgregazione dell’Unione. I compiti che attendono l’Unione sono fondamentali per il nostro avvenire.

I temi da trattare sono molteplici; lotta all’immigrazione clandestina, relazioni economiche con l’Africa per favorirne, attraverso la cooperazione, lo sviluppo economico e la stabilità politica al fine di ridurne la pressione migratoria con conseguente lotta all’estremismo islamico che minaccia la sicurezza.

L’Unione conta 450 milioni di consumatori. La sua economia è ancora robusta, la sua moneta solida; può considerare di promuovere una politica estera comune attraverso un’organizzazione intergovernativa. Al tempo stesso la Francia deve risollevarsi dal declino che la minaccia, essere più forte per essere meglio ascoltata. La lotta contro il deficit, il debito pubblico (arrivato al 110% del Pil), l’insicurezza, il rilancio della competitività, il miglioramento del sistema educativo e sanitario, la regolazione del fenomeno migratorio e l’integrazione devono restare temi di competenza nazionale.

Essendo troppo forti le differenze tra gli stati membri e tenuto conto che la Corte costituzionale di Karlsruhe ha mantenuto il primato della Costituzione tedesca sulla regola europea, Balladur ritiene che la Francia debba assicurare la supremazia della propria Costituzione su ogni altra regola di diritto nazionale o internazionale.

La Corte di Cassazione ha stabilito nel 1989 che il diritto europeo prevale a meno che venga rimesso in discussione un principio costituzionale inerente all’identità costituzionale della Francia. Nozione troppo vaga che non offre reali garanzie. Bisognerebbe interrogare i francesi tramite referendum ma visto il clima politico non è consigliabile.

Motivo per cui su temi delicati come l’immigrazione, allo stato attuale delle cose, è preferibile che la Francia possa stabilire autonomamente il numero dei migranti che è disposta ad accogliere (è bene ricordare che la Francia accoglie mediamente un numero di migranti nettamente superiore all’Italia).

Stesso discorso sulla difesa comune europea. Può la Francia delegare tutte le sue responsabilità militari all’Europa senza che prima avvenga un chiarimento in seno ai paesi membri? Se decidesse di affidare i suoi codici nucleari ad un organismo europeo, chi vigilerebbe sulla sua sicurezza? Da chi dovrebbe essere formato questo organismo? Sarebbe collettivo o sarebbe esercitato da un uomo solo? Attualmente è uno scenario inconcepibile.

Dobbiamo quindi pensare che la strategia francese non sia europeista in senso stretto? Non propriamente. In un recente dibattito i due principali collaboratori di Sarkozy, Henry Guaino e Alain Minc hanno ricordato il ruolo di Mario Draghi per il superamento della crisi dell’euro con il suo famoso “whatever it takes”. Draghi, infrangendo il tabù dell’ortodossia monetaria tedesca, aveva posto le basi per l’utilizzo della politica monetaria come arma a servizio della crescita europea, una strategia più “americana” che “tedesca”.

Macron, criticando la regola degli Spitzenkandidat (i candidati al vertice della Commissione) ha di fatto affossato la candidatura di von der Leyen in quanto espressione politica del PPE ed è facile immaginare che sarà il principale sponsor di Mario Draghi che ha annunciato che presenterà, dopo le elezioni, un grande piano di investimenti di 500 miliardi per il rilancio dell’economia europea.

Nicolas Sarkozy nel suo ultimo libro “Le temps des combats” ha ricordato di aver sostenuto con convinzione la candidatura di Mario Draghi alla guida della BCE contro il parere di Angela Merkel che avrebbe preferito il presidente della Bundesbank Alex Weber. Draghi ha avuto un ruolo così determinante nel salvataggio finanziario dell’Europa che il compianto Jacques Juillard arrivò a compararlo a de Gaulle. Ma nessuno è profeta in patria: l’Italia sosterrà la candidatura di Draghi?

Draghi potrà dare un contributo alla riorganizzazione dell’Europa? In attesa la Francia deve restare responsabile del proprio destino. È un percorso lungo e difficile ma bisogna cominciare senza indugi.