La maggioranza a guida sardo-leghista nel Consiglio regionale della Sardegna ha varato una legge per il riassetto degli enti locali istituendo di fatto le 8 province bocciate anni fa dai sardi con referendum abrogativi regionali. Quello di resuscitare per via legislativa ciò che è stato abrogato per via referendaria è un vizio politico nazionale, ma a quanto parte pure regionale. Non solo centralista, ma anche localista.

C'è da sperare che il Governo nazionale sollevi un a questione di costituzionalità su questa decisione e che questa non risulti coperta dalla prerogativa costituzionale dell'autonomia, che troppo spesso nelle regioni speciali è sinonimo di irresponsabilità.

Sei province e due città metropolitane: quella di Sassari, che si estende fino all’Asinara in un tessuto che di urbano rappresenta ben poco, e l’unica vera realtà metropolitana isolana, quella di Cagliari che viene mortificata con un ampliamento abnorme da 17 a 72 comuni, ricalcando di fatto l’intera ex provincia cagliaritana e rendendo praticamente impossibile la realizzazione e la gestione di una vera rete metropolitana.

Come spesso accade in ambito locale, invece di semplificare si tende a “gargantualizzare” la macchina amministrativa, dando il peggiore esempio che una classe politica chiamata ad amministrare e rendere più veloce e leggera la macchina burocratico-amministrativa possa dare, in più in barba al risultato referendario di qualche anno fa.

La potestà legislativa dei consigli regionali, riconosciuta al fine di facilitare la soluzione dei problemi locali, finisce per essere piega-ta al volere di una classe dirigente sempre più bulimica di potere e totalmente autoreferenziale.