fontana rocca grande

Il dato più significativo delle recenti elezioni in Lombardia e nel Lazio è l'enorme disaffezione al voto. La grande parte della società italiana non ha rappresentanza politica istituzionale, esercita una "scelta" politica fondata sulla sfiducia nei confronti dello status quo. E dalla carenza di rappresentanza emerge anche il risultato striminzito dei "terzi poli" (non solo Conte ma anche Renzi/Calenda), che non riescono a capitalizzare il consenso "contro" le storiche contrapposizioni ideologiche e che non mandano in soffitta la dialettica destra sinistra.

Questo significa, a mio parere, che la ricetta per uscire dall'angolo – per stimolare il ritorno al voto – non è annacquare le identità, farsi "ago della bilancia", esercitarsi nelle furbe manfrine di Palazzo, sperare nel consenso anti-istituzionale, "movimentista", cattivista: al contrario, deve tornare a coincidere con la rifondazione della sempre vegeta dicotomia destra sinistra, lungo l'asse della differenza valoriale e programmatica.

Bisogna farsi, dunque, radicali ma non estremisti, sfruttando anche il surplus derivante da un'offerta strutturata e partitica rispetto al mero spontaneismo: a sinistra, ad esempio, questo significa propriamente declinare una nuova forma di vocazione maggioritaria, tutta basata sui valori costituzionali e sui bisogni collettivi, oggi in ambasce con il governo delle destre. Occorre coltivare, ad esempio, una nuova coscienza "di classi" non rappresentate, dare spazio ad esigenze concusse, che possano concorrere a esprimere onestamente verità di parte, precise, ordinate, alternative. E i partiti, come intesi all’art. 49 della Costituzione, sono proprio questo, nel senso più nobile.

Tra queste "verità", evidentemente, c’è quella per cui ai lavoratori italiani non può portare bene la flat tax; quella per la quale il regionalismo differenziato serve solo a cristallizzare il divario Nord/Sud; quella per cui la precarietà, la generalizzazione dei voucher, l'esplosione dei tirocini e dei contratti a tempo determinato sono un attentato non solo alle tasche, ma alla salute dei lavoratori, sottoposti a standard di sicurezza sempre più bassi; quella verità, ancora, per cui il diverso, lo straniero, il profugo, le ONG, le associazioni di ogni minoranza, non sono nemici della "normalità" ma sue componenti nella pluralità e nell'eguaglianza; quella, in più, per cui la funzione pubblica, non solo al Sud, rappresenta una risorsa indispensabile per tutta l'economia nazionale e ciò perché la "mano invisibile" non esiste davvero e il liberalismo, quello classico, è solo autonomia e concorrenza nel rispetto di regole tutelate dalle istituzioni; quella verità, in fine, per la quale la nonviolenza fa rima con antimilitarismo e internazionalismo, senza cedere mai all'indifferentismo, non rinunciando a distinguere tra aggressore e aggredito, tra totalitarismo e libertà, come la storia della Resistenza e del CLN insegna.

Queste elezioni di minoranza, senza voti, impoveriscono la democrazia, senza delineare una domanda politica precisa, un'urgenza critica che chiede risposte. È come una resa che inchioda la politica all'incapacità di affrontare e risolvere i problemi comuni. Una resa popolare che, ovviamente, destabilizza il sistema, lo priva di legittimità e forza. Giustamente, il Centrodestra oggi festeggia un risultato tondo: i pochi al voto hanno premiato soprattutto Fratelli d'Italia e la leadership del Presidente Meloni ma la stessa vincitrice non può arrendersi a questa fuga corale dall'esercizio democratico del voto che, come tale, è una sconfitta per tutti.

La candidata alla Presidenza della Regione Lombardia, Letizia Moratti, ha detto con chiarezza, all'indomani del pessimo risultato elettorale del Terzo Polo lombardo, che hanno vinto i partiti strutturati, che il voto si è polarizzato, che il tentativo mediano, di Centro, ha senz'altro subito una battuta d'arresto. Un tentativo fluido, probabilmente incolore, che ha puntato tutto sulla demitizzazione del conflitto politico, senza comprendere come il centrodestra unito e il centrosinistra a trazione PD – nell'esercizio chiaro e binario dello scontro – fagocitano ogni "incertezza furba" dell'et et che vorrebbe raccogliere il consenso cosiddetto moderato. I moderati hanno ormai imparato a scegliere (anche a scegliere in massa di non votare!) e di fronte alle copie sfocate preferiscono puntare - quando lo decidono - sull'opzione maggioritaria, che ha davvero speranza di vincere, che davvero ha l'occasione di misurarsi nella risoluzione dei problemi reali.

Bene, probabilmente questo è un segnale che va colto nel senso dello sviluppo di una partecipazione politica che ha possibilità di riscatto, anche elettorale, solo se interpreta la dialettica in atto, prendendo posizione - aut aut - al fine di rendere le battaglie elettorali davvero contendibili. Non è più tempo, insomma, per la mera rappresentanza ... soprattutto nella temperie di una destra saldamente al Governo e soggiogata dal piglio attrattivo della Meloni.

Solo la forza dell'offerta politica (decisa sugli obiettivi da realizzare), solo la speranza fattiva per la vittoria, per qualcosa di nuovo che si afferma per migliorare, potranno riportare la gente al voto, in primo luogo la gente di Sinistra che, in massa, ha disertato disillusa le urne ... aspettando Godot o, finalmente, il prossimo segretario o la prossima segretaria del Partito Democratico.