Bisogna guardare alla guerra e all’Ucraina per restituire un minimo sindacale di verità a una campagna elettorale in cui la logica maggioritaria serve ormai solo per dissimulare un regime politico sostanzialmente “monopartitico”, privo di alternative interne e ovviamente avverso a alternative esterne al perimetro della destra e della sinistra ufficiale.

Bisogna guardare a quanto avviene e avverrà a Kiev, a Kharkiv e Kherson più che a Milano, Roma e Napoli, perché è proprio sul tema più urgente e drammatico, più profondo e profetico della guerra di Mosca all’Europa e all’Occidente che le due coalizioni uguali e contrarie dell’Italia bipopulista mostrano un’identità e una fragilità comune, per trasporto affaristico o per fanatismo ideologico, per amore di Putin o per odio dei suoi nemici della Nato.

Che vinca la coalizione di Letta o quella della Meloni – due politici, che, per ragioni diverse, hanno mostrato finora un fermo, ma congiunturale allineamento atlantico – l’Italia diventerà il minuto dopo la retroguardia tattica delle strategie moscovite, con maggioranze parlamentari letteralmente paralizzate da componenti interessate a presentare la pace di Putin – cioè la disgregazione dell’unità politica e territoriale dell’Ucraina – come un’opportunità per scampare a un destino di fame, freddo e tribolazioni. E dalla loro parte vi sarà un’opinione pubblica da tempo sensibilizzata alla verità alternativa della guerra per procura e quindi ampiamente disponibile a sostenere l’esigenza di immediate dissociazioni da questa sporca american war.

D’altra parte, siamo pur sempre il Paese, in cui anche sulla stampa, per così dire, indipendente si continua ad accusare più la borsa di Amsterdam che la guerra del Cremlino per l’esplosione del prezzo del gas e ad addebitare l’effetto strangolamento dell’inflazione energetica più all’egoismo dei partner atlantici che alle politiche di auto-incaprettamento alle forniture russe deliberatamente perseguite da una grande coalizione Nimby, che ha unito fino a ieri l’Italia politica “antirenziana” (di centro, di destra e di sinistra).

Le due coalizioni bipopuliste hanno anche gli ambasciatori perfetti per questa possibile pace separata con la Russia e guerra non dichiarata con Ue e Nato. Da una parte Prodi e dall’altra Berlusconi, due vecchi sostenitori di Putin, di diverso stile, ma di uguale sostanza, due formidabili contestualizzatori e relativizzatori delle responsabilità del macellaio del Cremlino, due sostenitori di quell’equivoco filo del dialogo che passava ieri e passerà domani per la fine delle sanzioni alla Russia.

Ovviamente ci sarebbero forti resistenze a un appeasement in entrambe le coalizioni, soprattutto nel PD e in FdI, ma il dato indiscutibile e che nessuna delle due coalizioni avrebbe al proprio interno risorse e stabilità sufficiente per reggere su una linea come quella adottata da Draghi e da questi addirittura imposta a Francia e Germania. Al contrario, il cedimento italiano potrebbe determinare un effetto contagio anche in altri paesi europei.

Non è escluso che nelle camere, sommando tutti i voti sarebbe possibile trovare una maggioranza composita in grado di confermare la posizione del Governo Draghi, ma si tratterebbe di una maggioranza trasversale di unità nazionale, che farebbe immediatamente saltare il feticcio della compattezza della destra e della sinistra e delle rispettive coalizioni e dimostrerebbe che sul principale problema che l’Italia ha di fronte (e che è la causa principale di molti altri) le due coalizioni sono ugualmente unfit, l’una il triste riflesso dell’altra.