Della Vedova Uemani

Saranno le prime elezioni europee dopo la Brexit, si terranno dal 23 al 26 maggio in 27 Paesi ed eleggeranno 705 eurodeputati, 46 in meno rispetto al 2014. Sarà questo il primo effetto dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, con 27 dei 73 seggi liberati ora redistribuiti tra i 14 Paesi dell’Unione leggermente sottorappresentati (3 in più andranno all’Italia).

I restanti resteranno congelati in attesa di future nuove adesioni o di un’eventuale circoscrizione elettorale comune aperta a liste transnazionali, possibilità, quest’ultima, già bocciata a febbraio dall’assemblea plenaria di Strasburgo.

Una recente indagine della Reuters, aggregando sondaggi nazionali, ha stimato un calo di circa 70 seggi per i grandi partiti tradizionali (socialisti e popolari) e una crescita per le formazioni “populiste” EFDD ed ENF di circa 40 seggi complessivi. Da annotare inoltre l’aumento dei seggi per Alde (+36) e Sinistra-Verdi (+5).

Naturalmente, alla luce del taglio complessivo dei parlamentari, queste variazioni andrebbero valutate meglio in percentuale: così Socialisti e Popolari passerebbero dal 54,3 al 47,4% dei seggi, EFDD ed ENF dal 10,6 al 17,2% e l’Alde dal 9 a circa il 15%.

Mancano comunque ancora molti mesi al voto e molto può dunque cambiare, ma al di là dei colori preoccupa, come sempre, la partecipazione al voto, indice spesso di un interesse molto basso verso l’unica istituzione europea direttamente eletta.

Il trend dell’affluenza è infatti in costante calo dal 1979, crollata di quasi venti punti (dal 62 al 42,6%). Su queste percentuali ha inciso anche la scarsa partecipazione in Regno Unito, in media il 33,8%, ma non fanno certo ben sperare i dati di alcuni Paesi come Repubblica Ceca (18,2%) e Slovacchia (13%), molto lontane dai picchi di Belgio (89,6%) e Lussemburgo (85,5%).

E così il Parlamento ha lanciato l’hashtag #thistimeimvoting, aprendo un recruitment per la partecipazione alla campagna al voto sul sito www.thistimeimvoting.eu. Si tratta dell’ennesima campagna di comunicazione dopo quelle promosse nel 2014 con gli slogan This time it is different e AGIRE-REAGIRE-DECIDERE.

Negli ultimi anni il Parlamento e il Consiglio dell’Unione Europea hanno cercato di dare impulsi agli Stati anche per introdurre il voto per corrispondenza, elettronico e via internet. Tutti strumenti utili per facilitare il voto, ma il rischio è che a incidere più di tutto sia la scarsa europeizzazione del dibattito pubblico, limitato a contese nazionali e frenato dall’euroscetticismo.

Qualche timido segnale positivo appare emergere dall’ultimo Eurobarometro. Secondo il sondaggio due terzi dei cittadini europei infatti pensano che sia stato vantaggioso per il proprio paese entrare nell’UE e il 60% ritiene che l’appartenenza all’Unione sia una cosa positiva. Si tratta del miglior risultato dal 2007.

Allo stesso tempo preoccupa che a un anno di distanza dal voto, solo il 19% abbia risposto correttamente alla domanda sulle date delle prossime elezioni europee e che ci registri uno scarto del 19% tra chi ritiene di grande importanza il voto alle elezioni europee (49%) e quello alle elezioni nazionali (19%).

Insomma il deficit continua e anche se il 63% degli europei giudica positiva in termini di trasparenza la procedura del candidato principale per la scelta del presidente della Commissione, quasi i tre quarti dei cittadini vorrebbero che questo processo fosse anche accompagnato da un vero dibattito sulle questioni europee e sul futuro dell’UE.

Molto tocca ai media e ai leader nazionali in un’eterna affascinante promessa che si rinnova ogni cinque anni prima di ogni consultazione e che include uno sforzo conoscitivo perennemente senza precedenti.