Ultima fermata per l'Europa. La crisi italiana vista da Est
Istituzioni ed economia
Venerdì scorso, quando tutto lasciava presagire che nell’arco di pochi giorni il Quirinale avrebbe dato il suo assenso alla nascita dell’esecutivo Conte, governo frutto del “contratto alla tedesca” tra Lega e Movimento 5 Stelle, sono stato contattato da un think tank ucraino che mi chiedeva chi fossero, nel nuovo scenario venutosi a creare, i responsabili della politica estera verso i Paesi dell’Europa orientale e quali influencers, politici e consulenti la leadership ucraina avrebbe dovuto approcciare per un dialogo costruttivo.
Il singolare tempismo di questa iniziativa nasceva molto probabilmente dall’analisi del programma di governo circolato online, in cui uno dei tratti salienti della politica estera italiana riguardava l’abolizione delle sanzioni alla Russia, decise dopo l’annessione della Crimea da parte della Federazione nel marzo 2014 e rafforzate dopo l’abbattimento del volo di linea della Malaysia Airlines sui cieli del Donbas nel luglio 2014 che provocò ben 298 vittime. Ciò che aveva messo in allarme gli analisti ucraini era il fatto che il futuro governo giallo verde (sarebbe stato più corretto definirlo rosso bruno!) non avesse sconfessato questa scelta di campo, in netta discontinuità con la politica estera della UE, nonostante nell’ultima settimana due importanti avvenimenti avessero aggravato ulteriormente la posizione del Cremlino confermando la natura predatoria della sua politica.
Il primo riguardava l’inaugurazione il 16 maggio di un ponte che collega la città ucraina di Kerch, all’estremità orientale della Crimea, con la penisola di Taman nel territorio di Krasnodar (Russia). Il secondo atteneva al risultato ufficiale dell’inchiesta internazionale sull’abbattimento del volo di linea MH17 della Malaysia Airlines in cui si affermava, con tanto di prove inconfutabili, che ad abbattere l’aereo in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur fu un missile Buk proveniente dalla 53esima brigata missilistica antiaerea russa di stanza a Kursk.
Il mancato varo del governo Conte, a causa della indisponibilità del leader della Lega Matteo Salvini a offrire un nome alternativo a quello dell’economista anti-euro Paolo Savona per il Ministero dell’Economia, segna l’inizio di una fase transitoria che si concluderà a settembre, o nella migliore delle ipotesi nel febbraio 2019, con il ritorno alle urne. E l’opera meritoria di Mattarella che, agendo nel pieno rispetto della Costituzione, ha posto il suo veto a un esecutivo intenzionato di fatto a traghettare il nostro Paese fuori dall’euro, da Bruxelles e dalla NATO, potrebbe rivelarsi vana se nei prossimi mesi forze europeiste e democratiche non sapranno arginare la deriva populista di Lega e Movimento 5 stelle convincendo tanti elettori euroscettici. Il prossimo appuntamento elettorale potrebbe essere davvero l’ultima fermata per l’Europa.
Torniamo per un attimo al think tank ucraino. Nell’eventualità dell’insediamento di un governo Conte avrei avuto serie difficoltà a consigliare ai colleghi di Kyiv validi interlocutori per perorare la causa ucraina a Roma. La mia scelta, in qualche modo obbligata vista l’assenza di alternative, sarebbe sicuramente ricaduta sull’unica figura di consolidata fede europeista e atlantista: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Una visita di Mattarella a Kyiv su invito del Presidente Poroshenko, che nel 2019 concluderà il suo mandato presidenziale, poteva essere una buona occasione per ribadire l’amicizia e la cooperazione economica tra Italia e Ucraina, già sancite a Roma nel novembre 2015, pur in presenza di un esecutivo, quello Lega-5 stelle, assai gradito, quasi sponsorizzato, da Mosca.
Se i colleghi ucraini possono aggiornare il loro dossier e tirare un momentaneo sospiro di sollievo – l’Italia almeno per qualche mese continuerà a comportarsi, analogamente al recente passato, come “partner strategico” della Russia ma non si trasformerà in un “cavallo di Troia” di Mosca – gli italiani che hanno a cuore il destino della propria nazione devono invece mobilitarsi sin da subito per sconfiggere lo tsunami sovranista-populista che rischia di travolgere l’Italia alle prossime elezioni.
Perché l’opera, ancorché disperata, possa avere margini di successo occorre la mobilitazione di tutte le energie migliori del Paese, dagli imprenditori, alla società civile ai partiti usciti sconfitti il 4 marzo. La prossima tornata elettorale si configura come un vero e proprio doppio referendum. Il primo, come è emerso chiaramente domenica sera dopo il discorso del Presidente Mattarella, riguarda l’euro. Il secondo la collocazione atlantica di un’Italia sempre più tentata dalle sirene putiniane.
È evidente che se l’Italia vuole garantirsi un futuro di pace e prosperità deve rimanere all’interno dell’eurozona e riaffermare quella vocazione europeista e atlantista iniziata negli anni Cinquanta con Alcide De Gasperi. L’aggregazione di forze necessariamente composite, ma che credono che l’unica crescita possibile sia in Europa all’interno dell’eurozona e che l’unico modello di società possibile, ancorché perfettibile, sia quello liberal-democratico e non quello delle "democrature" di Orban e Putin, deve avvenire sulla base della nuova dialettica aperto/chiuso.
Continuare a ragionare secondo le vecchie categorie novecentesche destra/sinistra o impegnarsi in battaglie minoritarie e identitarie significa votarsi a sicura sconfitta.
Guido Tabellini, sabato 26 maggio sulle pagine del Foglio, affermava che “sarebbe imperdonabile se la leggerezza e l’incompetenza di pochi uomini politici facessero ricadere il paese in una crisi finanziaria ancora peggiore di quella da cui siamo appena usciti”. Mattarella, con saggezza e rispetto istituzionale, ha momentaneamente scongiurato questo pericolo.
Ma il futuro dell’Italia, Paese pericolosamente sull’orlo del baratro, si scriverà nei prossimi mesi. Per vincere questa dura battaglia occorrono intelligenza, tenacia e tanto senso di responsabilità. Quelli che, anche all’interno di testate giornalistiche e televisive di una certa rilevanza, hanno negli ultimi anni strizzato l’occhio ai populismi facendo proprie certe narrazioni di rara disonestà intellettuale sulla “casta” e sugli “eurocrati”, al solo scopo di vendere qualche copia in più o di aumentare l’audience, farebbero bene a farsi un esame di coscienza. Se questo paese finirà nel baratro sarà anche per loro responsabilità.