Nicolas Sarkozy e la parabola del potere
Istituzioni ed economia
Quando in Italia era il politico più detestato a sinistra dopo Berlusconi, io Sarkozy lo avrei quasi votato. Prima che un conservatore antipatico ci vedevo uno che aveva capito per tempo come il campo da gioco andasse cambiato. E che il '900 era finito, mentre l’alba del 2000 andava già a velocità tripla rispetto agli anni 90.
A sinistra la vedevano diversamente, sia in Italia che in Francia. Mentre da noi quella identitaria era questione sospesa tra settarismo manettaro, operaismo di maniera e antiberlusconismo militante, loro avevano vissuto quasi come una liberazione la fine dell’era Mitterrand, alieno più che apolide, consegnando il nuovo corso socialista al disegno di una nuova “gauche plurielle” che ha poi portato al disastro del 2002, quindi alla candidatura fragile della Royal. C’era, come c’è ancora, l’ansia di mettere insieme, e contro, tutto ciò che non si avvertisse come familiare ed organico.
Ma Sarkozy nel 2007 non c’entrava troppo con Berlusconi, né si esauriva in un’idea rigida e tradizionale di destra. O meglio, non si fermava lì, non si limitava a quello, non rispettava categorie classiche che invece la socialdemocrazia, storicamente traendo dalle stesse una rendita di posizione, non ha mai davvero pensato di rifiutare, o scardinare, o comunque superare. Mentre Sarkozy conquistava spazi e scombinava le carte, mescolando turbocapitalismo e Jean Jaures, e provando a darsi un’aura di marziano pure lui, Jospin restava nel solco già usurato di un’antica e pur nobile storia, e la Royal - poco dopo - aggrappata a un blairismo di terza mano, evocativo come un poster di Franco Nicolazzi nella cameretta di un adolescente ribelle. Tutto già visto insomma, un feticcio ideologico buono a rassicurare un popolo appena ipotetico: la mitologica “comunità” della sinistra di cui si ama parlare dalle nostre parti, forse perché a forza di parlarne possiamo pure convincerci che esista.
Renzi e la sua intuizione innovatrice, sia di temi che di popoli di riferimento, per certi versi così simile a quella di Sarko, erano ancora da venire in Italia; mentre in Francia la rivoluzione Macron neppure si poteva immaginare, imprevedibile come quella a cinque stelle alle latitudini nostrane. Ma questo non è l’ennesimo articolo su Renzi, e neppure su Di Maio&C: il primo è malconcio ma in sella, il secondo saldamente al comando. Comunque vivi.
No, questo è un’articolo su un politico reietto, caduto male, per sempre, come altri prima di lui. Predatori abili che riescono dove altri neppure osano, che possiedono e praticano davvero l’arte politica. Che vincono. Che arrivano a tutto e poi però rovinosamente lo perdono, e sputtanano in debolezze e fragilità individuali la grandezza di certe parabole, al contrario, per nulla individuali. Non solo per lo stile personale e per una lunga, meticolosa strategia di costruzione di consenso, esemplare per tanti suoi epigoni: Sarkozy ha fatto storia in politica, ma nella Storia, con la maiuscola, lui ci è entrato di prepotenza. Se il nuovo terrorismo mondiale è figlio di sfortunate primavere arabe, esse precedono a loro volta e forse in parte determinano un’azione militare che oggi ci appare non tanto come un grave errore di prospettiva quanto piuttosto l’espressione di una volontà scientifica di seppellire (letteralmente) un passato compromettente.
Per cosa poi? Sarkozy aveva già in tasca le elezioni del 2007. I sondaggi non hanno mai lasciato speranze alla Royal. Del resto nessun adolescente ha mai palpitato e sognato rivoluzioni di fronte a un poster di Nicolazzi. Se davvero i soldi di Gheddafi sono serviti a finanziare la campagna del futuro presidente possiamo ritenere che si sia trattato di una scelta stupida ancora prima che un illecito. Caso simile, per certi aspetti, fu quello che costò la carriera a Nixon. Responsabile, quest’ultimo, di uno spionaggio contro i democratici alla vigilia delle presidenziali americane del 1972, che poi vinse lasciando McGovern a 23 punti percentuali di scarto.
Nixon non aveva alcun bisogno di violare le regole, come non ne aveva Sarkozy. Eppure lo hanno fatto. Potremmo chiederci cosa passi nella testa di un consumato uomo di potere quando compie azioni tanto sciocche e azzardate, specialmente in assenza di una effettiva necessità. La risposta più ragionevole sta nella paura di perderlo, quel potere; e la paura è appunto dell’uomo, qualsiasi uomo: anche nel politico consumato. Anzi, nell’uomo politico la dimensione del potere si sovrappone spesso alla vicenda personale, sublimando aspetti dell’essere, del sentire, del vivere, in una progressiva coincidenza - a volte persino perfetta - delle due sfere.
Nixon e Sarkozy sono due politici che hanno lasciato il segno, due uomini che avrebbero fatto qualsiasi cosa per non separarsi da un potere faticosamente raggiunto: al punto di esporsi al più concreto rischio di gettarlo via. Ma non sempre il politico brucia il proprio potere per la paura di perderlo. A volte è la dimensione più personale a tradirlo. Ricordate John Edwards, l’astro nascente dei democratici americani all’inizio del nuovo millennio? Allora erano in tantissimi a pronosticargli un futuro alla Casa Bianca, specialmente dopo la sconfitta subita in ticket (da vice) con Kerry nel 2004. All’epoca nessuno aveva pronosticato l’avvento di Obama, e tantomeno avrebbe previsto che un uomo tanto esperto e in carriera avrebbe potuto distrarre fondi della propria campagna elettorale per tacitare un’amante delusa, lasciata in attesa di una figlia mentre la stessa moglie di Edwards stava morendo di cancro. Scaricato da tutti, famiglia inclusa, Edwards è riuscito per un soffio ad evitare il carcere ma la sua intera storia politica è stata spazzata via. Non per questo si è perso d’animo e da retore di buona consistenza quale è sempre stato ha continuato a mostrare fiducia nel futuro: “Non credo che Dio abbia finito con me. Penso davvero che ci sia ancora qualche cosa buona che io possa fare”.
Tornando, per concludere, a Sarkozy sarebbe interessante sapere cosa pensi circa il proprio futuro un uomo che ha speso tutte le energie a renderlo maniacalmente perfetto. Fino a comprometterlo completamente. Se possa avere la stessa serenità di Edwards, o se possa ambire a raggiungerla. Quando il suo rivale storico De Villepin finì nei guai con la giustizia fece di tutto per metterlo ancor più in difficoltà (costituendosi parte civile nel processo Clearstream) e analoga spietatezza mostrò verso Strauss-Kahn, che certamente poteva batterlo agevolmente nelle elezioni del 2012. Qualcuno ipotizzò che ci fosse addirittura lo stesso Sarkozy dietro lo scandalo che travolse le ambizioni di DSK, ma non fu mai provato. In realtà fu sufficiente un modestissimo Hollande per archiviare un Sarko spento e senz’anima, reso debole dalla propria percepibile povertà umana ancor più che dai risultati di governo. Finì che riuscì a perdere un dibattito tv con il candidato probabilmente meno emozionante ed empatico di sempre, senza riuscire a valorizzare nè il proprio operato di cinque anni nè la capacità di innovazione politica di cui diciamo in premessa.
Il fatto è che non sempre la combinazione della dimensione umana con quella istituzionale fa del politico uno statista, o almeno qualcosa che gli assomigli. Esistono casi come quello di Mitterrand, che scopertosi malato poche settimane dopo l’elezione a Presidente, affronta ben due mandati nella convivenza con un tumore che a poco a poco lo consuma: ma lui resiste, a un certo punto si trascina, conclude il mandato e appena dopo essere uscito dall’Eliseo entra nella Storia. E ci sono casi come quello di Jospin, un cosiddetto perdente: pur travolto dagli errori e dalle contraddizioni di una sinistra plurale di cui si è detto, appena appresa la notizia della propria sconfitta elettorale si ritira immediatamente e definitivamente dalla vita politica con un discorso di neppure cinque minuti.
Forse oggi Sarkozy pagherebbe di tasca propria per un simile addio. Invece dovrà affrontare processi, difficoltà e molta solitudine. Quella che tocca agli dei caduti. A tal riguardo è significativa un’altra frase del predicatore unfaithful John Edwards: “Ho fatto una montagna di cose sbagliate. Ne sono responsabile. Mi basta guardarmi allo specchio. Sono io, e sono io da solo”.