Il golpe dell'euro? Riflessioni sul saggio fogliante di Guarino #2
Istituzioni ed economia
Dopo il commento di Lorenzo Castellani, Strade ospita ancora una riflessione sul saggio "No Euro" del professor Giuseppe Guarino - già ordinario di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma e ministro delle Finanze (1987) e dell'Industria (1992-'93) - pubblicata qualche settimana fa su Il Foglio. L'autore del commento odierno è Andrea Benetton, presidente di Libera Europa, movimento d'opinione euroscettico di recente costituzione.
La tesi del professor Guarino è che, all'origine della moneta unica europea, si sia realizzato un "colpo di stato" nella forma di un regolamento, il numero 1466/97 che avrebbe snaturato i trattati sino allora firmati. Il saggio si muove tra valutazioni di ordine giuridico e altre di ordine economico. Nelle prime non entro strettamente nel merito, non sono in grado di trovare punti critici nell'articolato discorso di Guarino. Peraltro, che l'approccio dei governanti di allora fosse quello descritto da Guarino è ben documentato, ad esempio da Jean Claude Juncker.
Non c'è da stupirsi che classi dirigenti fortemente ideologizzate dall'idea degli Stati Uniti d'Europa quindi abbiano forzato la mano di fronte agli ostacoli. Ma questo è un dato storiografico che pone solamente in dubbio la legittimità del processo. Uso il termine "solamente" perché la questione centrale non è la legittimità ma la volontà politica, che oggi come allora è la costruzione di un superstato federale.
Chi scrive è molto scettico su tale epilogo, che ignora il problema (liberale) della definizione dei perimetri territoriali ottimali per le istituzioni politiche. Difficilmente possiamo avere un continente più libero quando l'attività principale della Commissione europea è quella di ridurre la competizione tra sistemi fiscali e normativi. L'azione di "armonizzazione" che il Parlamento europeo porta avanti, in altro non si è risolta che nel fiorire del lobbismo con cui aziende grandi tarpano l'innovazione delle piccole aziende innovative attraverso la regolamentazione. Questa dinamica è peraltro letale per la piccola e media impresa italiana. Lo scontro quindi è sul piano della volontà politica, di quello della contrapposizione – che sarà nettamente evidente alle prossime elezioni europee - tra partiti euroentusiasti, quelli della retorica del più unione politica, e partiti euroscettici. Anche se non esistesse il problema della legittimità, i gruppi euroscettici hanno almeno due opzioni nell'arco.
La prima, nel caso diventino maggioranza nei paesi chiave, è quella di concordare un piano ordinato multilaterale di riduzione dell'Unione Europea in poco più di un'area di libero scambio eliminando la sovrastruttura politica e burocratica creata negli ultimi venti anni. Come la volontà politica ha portato alla costruzione dell'EU, la stessa volontà di segno opposto può smontarla. Utilizzando o meno le ottime argomentazioni di Guarino.
La seconda, nel caso siano maggioranza in pochi paesi, è quella di uscire dall'EU ex articolo 50 del trattato di Lisbona, aderendo poi all'EFTA-EEA, conservando cioè l'area di Libero Scambio, la libertà di movimento di capitali e persone ma riducendo di un colpo le regolamentazioni dalle 19000 derivanti dall'adesione all'Unione Europea (aumentano di più di 1000 l'anno) a meno di 4000 dell'EFTA-EEA. Per l'Italia che contribuisce all'UE più di quanto riceve sarebbe anche un vantaggio per i conti pubblici. L'argomentazione che non possa esistere un mercato comune in assenza di unione politica è smentita dal fatto storico che per quaranta anni abbiamo avuto un mercato comune che funzionava egregiamente in assenza di unione politica. La situazione pre-Maastricht era ottimale per il nostro continente.
La questione della legittimità quindi è poco rilevante rispetto alla questione della volontà politica mentre avrebbe potuto essere centrale nel caso il trattato di Lisbona non avesse previsto clausole di recesso dall'Unione Europea. In tale caso il problema di legittimità sarebbe stato di fatto il "casus belli" che avrebbe aperto altre possibilità di svincolarsi dal trattato stesso a norma della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969.
Le valutazioni di carattere economiche invece contengono alcune fallacie. La prima è che "alla gestione della moneta è sempre preposta un'autorità politica facente parte dell'organismo di vertice". Questo è vero oggi ma non è stato sempre vero. La moneta nasce dai commercianti che identificarono un mezzo ottimale nel trasporto di valore. La moneta fu in sintesi un prodotto del mercato. Solo in seguito il potere politico identificò nel suo controllo uno strumento di potere smisurato con cui imporre la tassa da inflazione da cui ottenere risorse per consolidarsi. Non dimentichiamoci che dal 1837 al 1862 gli stessi USA sperimentarono un sistema di Free Banking senza controllo politico della moneta. La presunta indipendenza della banca centrale non trasforma la stessa da organismo politico ad agente che segue logiche di mercato. L'offerta di moneta con una banca centrale non è regolata dal mercato ma da teorie economiche in auge al momento direttamente collegate non solo al partito politico vincente in un dato periodo storico ma anche, attraverso la rete di relazioni personali tra apparato della banca centrale e quello della politica, alle singole esigenze della politica. Tenere tassi bassi com'è stato fatto nell'ultimo quindicennio per mantenere bassi i rendimenti dei titoli di stato è la migliore controprova che non esiste alcuna cosa come una banca centrale indipendente e che Guarino sbaglia a pensare che oggi non ci sia la politica al vertice. La politica c'è e i trattati sono tuttora elusi come nel caso del LTRO voluto da Draghi.
La seconda è l'implicita equazione di Guarino che la leva del debito vietata dal regolamento sia equivalente alla cancellazione della possibilità di fare politiche di sviluppo. Siccome le risorse dello stato sono prelevate attraverso la tassazione Guarino implicitamente dice, come i keynesiani, che il cittadino non sarebbe stato in grado di spendere i suoi soldi meglio dello stato stesso per creare sviluppo. Ora è sotto gli occhi di tutti che la spesa pubblica è in generale molto meno efficiente nel gestire un denaro di un qualsiasi cittadino che spende soldi che sente suoi. Politiche di sviluppo possono essere fatte anche senza il ricorso al debito: basterebbe rendere molto meno pesante la burocrazia statale rispetto a chi vuole fare impresa o ridurre il cuneo fiscale per esempio. Il problema è che si vuole comprimere la questione dello sviluppo all'idea keynesiana del public spending senza accorgersi che è tale assunto ci ha portato ad avere un debito pubblico che tramite effetto di spiazzamento riduce la disponibilità di capitali per l'avviamento d'impresa. Peraltro Guarino dimentica che i PIIGS hanno sistematicamente sforato i limiti imposti e sono stati per anni in procedura d'infrazione.
Il vero limite dell'introduzione dell'Euro che Guarino non cita è quello che i bassi tassi che l'Euro ha accordato ai paesi fortemente indebitati hanno incoraggiato la naturale tendenza presente in questi paesi all'aumento della spesa pubblica e all'irresponsabilità nella gestione dei conti pubblici. L'Euro ha incoraggiato il moral hazard grazie anche alla percezione d'esser ormai dentro qualcosa di «troppo grande per fallire». Non solo: l'Euro ha nei fatti sincronizzato l'evoluzione della crisi debitoria tra i vari paesi impedendo al primo default (questo è la ristrutturazione del debito greco) di essere monito agli altri paesi iperindebitati.
Per chiudere, Guarino ha fornito una chiave di lettura storiografica degli avvenimenti che hanno portato alla nascita dell'Euro, fornendo una precisa spiegazione delle ragioni per cui l'impianto europeo sarebbe carente gravemente sotto il profilo della legittimità. La sua analisi economica adotta invece (inconsapevolmente ?) una precisa scuola di pensiero che certamente l'autore non condivide ma che anche condiziona alcune valutazioni d'insieme presenti nel saggio. Concretamente l'esito della vicenda Europea dipenderà se gli europei appoggeranno partiti che continueranno su questa strada o se invece altri che imporranno una diversa visione di Europa.
Difficilmente però le argomentazioni contenute nel saggio saranno un punto di questa battaglia elettorale. Altri saranno i temi, legati concretamente al benessere che l'Unione Europea non sta apportando come chi appoggia gli Stati Uniti d'Europa ha invece sostenuto in passato. E un fattore chiave sarà proprio la disillusione. Come ogni feticcio che non funziona l'Unione Europea sta per essere investita dalla rabbia di coloro che ad religio ci credevano e che ora si sentono traditi.