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Dal Baltico alla Siria, si rivive un’atmosfera da guerra fredda. Con i bombardieri russi che si esercitano nel Nord Atlantico e una squadra navale formata dai pesi massimi della flotta di Mosca (la portaerei Admiral Kuznetsov e l’incrociatore da battaglia Pëtr Velikij) nelle acque della Manica, le dimostrazioni di forza si moltiplicano. La più grave è lo schieramento di missili balistici Iskander nell’exclave di Kaliningrad: potendo essere dotati anche di testata nucleare, hanno riportato l’Europa centrale sotto l’incubo atomico.

Ma c’è un popolo di ammiratori di Vladimir Putin che segue con entusiasmo, da casa e da dietro la propria tastiera, tutte le mosse militari russe. Non le considera minacce alla nostra sicurezza europea, ma “giuste” risposte alla “nostra aggressione”. E anche questo è uno scenario già visto nella precedente guerra fredda: Mosca ha il suo “popolo” all’estero.

Le tesi russe sono identiche a quelle sovietiche di tre decenni fa: la Russia è “accerchiata”, le sue mosse più aggressive sono “risposte” a precedenti provocazioni o aggressioni; una mossa azzardata della NATO può condurre direttamente all’escalation nucleare. Dunque, i membri della NATO sono “avvertiti”: se stanno con gli Usa, rischiano la distruzione. L’8 ottobre la Russia ha schierato a Kaliningrad i missili Iskander, ma i media e i social media pro-russi paiono più scandalizzati dallo schieramento di un piccolissimo contingente NATO nel Baltico, deciso a luglio e previsto entro il 2018.

I paesi confinanti con la Russia sono preoccupati dall’escalation di provocazioni militari di Mosca, ma per i pro-russi la vera pietra dello scandalo è la stessa appartenenza alla NATO di Estonia, Lettonia e Lituania. E anche nel caso delle neutrali Finlandia e Svezia, se osano coordinarsi con l’Alleanza Atlantica, perché subiscono il pressing russo, la loro è una “provocazione”.

Le sanzioni Usa e Ue applicate alla Russia, come risposta alla sua annessione della Crimea, sono vendute al pubblico come un’aggressione commerciale. I danni che la guerra commerciale sta provocando al settore agroalimentare europeo sono causati dall’embargo russo, ma anche questo è spacciato al pubblico come una risposta “automatica” alle sanzioni occidentali.

Viene venduta in massa la tesi staliniana dell’accerchiamento, su Internet girano in milioni di copie soprattutto due mappe: quella che raffigura “l’espansione” della NATO a oriente e quella delle “basi NATO” nel mondo. La prima dimentica il “dettaglio” che sono i paesi dell’ex Patto di Varsavia ad aver chiesto l’adesione all’Alleanza, anche e soprattutto per timore di un revanscismo sovietico che era evidente sin dagli anni ’90. La seconda mette assieme alla rinfusa basi NATO, basi nazionali americane, britanniche e francesi oltremare, vecchie basi ormai chiuse e non dimostra nulla, tantomeno una volontà di accerchiamento. Eppure sono mappe che vengono regolarmente sventolate sotto il naso di chiunque critichi Putin, accompagnate da domande retoriche, del tipo: “chi sarebbe l’aggressore?” o “è la NATO che si sente minacciata dalla Russia?”.

Contrariamente all’epoca sovietica, non c’è più una galassia di partiti comunisti che gravitano attorno a Mosca, né i loro giornali di partito o le loro scuole di politica. La strategia russa è molto più flessibile. Si basa su una comunicazione internazionale finanziata dal governo per diffondere il punto di vista di Mosca all’estero, con televisioni come RT e agenzie come Sputnik, ma anche su giornalisti e testate all’estero giudicati più o meno amici, specie se in zona di guerra e regolarmente censiti da Mosca, nonché su eserciti di “troll” che lavorano per condizionare i social network tutti i giorni, a tutte le ore del giorno.

Nello spazio ex sovietico, la propaganda russa fa leva sulla nostalgia. La lotta per la difesa dei simboli dell’ex Urss, bandiera rossa, stella rossa, statue di Lenin, è la nuova guerra delle icone. Ma nell’Europa occidentale? La nuova Russia punta sulla nuova destra anti-sistema, quella che ha in agenda l’uscita dalla NATO. L’unico finanziamento russo alla luce del sole è quello al Fronte Nazionale in Francia. L’intelligence statunitense sta però investigando anche su altri sospetti: Fpo in Austria, Jobbik in Ungheria, Alba Dorata in Grecia (dove anche la coalizione di sinistra Syriza coltiva buoni rapporti con Mosca… e pessimi con Bruxelles), Vlaams Belang in Belgio. Anche la nuova AfD in Germania, una volta cambiati i vertici e il programma, è decisamente pro-russa.

In Italia, i sostenitori di Putin sono trasversali: Forza Italia, Lega Nord e il Movimento 5 Stelle sono espliciti sulla loro scelta di campo. Silvio Berlusconi è dichiaratamente amico personale di Vladimir Putin e orienta i suoi media di conseguenza.

La novità di quest’anno è l’intervento russo a gamba tesa nelle elezioni statunitensi. I media di Mosca fanno apertamente propaganda per Donald J. Trump. E i servizi di sicurezza statunitensi investigano sulle azioni hacker di spionaggio ai danni di Hillary Clinton e del Partito Democratico. L’interesse russo per Trump è palese: è l’unico candidato americano che mette seriamente in discussione la NATO.

L’Unione Sovietica aveva un progetto universale: la rivoluzione mondiale. La Russia ha un suo disegno egemonico solo regionale. E non potrebbe essere altrimenti, perché la sua potenza militare è molto ridotta rispetto a quella dell’ex impero sovietico. Ma la propaganda porta a credere che quello fra Russia e Usa sia ancora uno scontro sistemico, su valori universali e su due visioni opposte del mondo.

Mancano filosofi di riferimento. La nuova Russia non ha il suo Marx, né il suo Lenin. A questa carenza risponde con il carisma personale di Vladimir Putin, i cui discorsi danno la linea. A sua volta, Putin dice di rifarsi a un nucleo eterogeneo di pensatori russi, soprattutto il conservatore Ivan Aleksandrovic Ilin (1883-1954, anti-comunista, propugnatore di uno Stato forte con un esecutivo dominante e in rapporto diretto col popolo) e l’eurasiatista Lev Nikolaevič Gumilëv (1912-1992, teorico della diversità delle civiltà dello spazio euroasiatico e convinto sostenitore della loro unione su basi storiche e culturali).

L’estremista Aleksandr Dugin, giovane, dinamico, attivissimo anche in Europa occidentale, si fa portavoce di un’idea imperiale della Russia, dal Pacifico all’Atlantico, nel nome dell’alleanza delle cultura euro-asiatiche tradizionali (dall’islam all’induismo passando per il cristianesimo ortodosso) contro il presunto “imperialismo” (leggasi: globalizzazione): benché sia poco gradito al Cremlino, molti partiti di destra seguono la sua visione e sperano che prima o poi prevalga la Russia da lui sognata. In Occidente, l’ideale russo è un qualcosa di mal definito e mal digerito: a volte pare uscito dalla penna del marxista Toni Negri, altre volte da quella del cattolico Augusto Del Noce.

Come è possibile identificare una causa unica che accomuna i nostalgici dell’Urss con le formazioni nazionaliste europee, come far sfilare i tradizionalisti cristiani sotto le bandiere rosse e ai piedi delle statue di Lenin? È possibile solo se si considera il loro unico comun denominatore: la lotta contro la globalizzazione. La propaganda russa fa leva soprattutto sulle angosce della società aperta: nuovi diritti, immigrazione, mercato libero.

La propaganda russa cavalca le nostre paure e le amplifica. Nel 2015-‘16 fa leva sul terrore dell’ondata migratoria. Ma sempre e comunque in funzione anti-Usa e anti-Ue: tutti i problemi sono attribuiti immancabilmente a Washington e a Bruxelles. Le democrazie occidentali sono le nuove torri di Babele, rappresentano l’arroganza dell’uomo moderno “solipsista”, sono la culla di tutti quelli che sono identificati come i mali della globalizzazione: materialismo, meticciato, laicismo e (ovviamente) neoliberismo. Questa visione, necessariamente semplificata, dà l’idea di cosa sia il fronte culturale della nuova guerra fredda. Non più il vecchio scontro fra democratici e comunisti, ma quello fra democratici e reazionari.