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I promotori del referendum no-triv hanno perso due volte. 

La prima sconfitta, annunciata e inevitabile, era quella del quorum, che rebus sic stantibus è di fatto irraggiungibile, salvo eccezioni del tutto straordinarie, come quella che portò la maggioranza degli italiani a pronunciarsi sul ripudio del nucleare civile all'indomani del gravissimo incidente di Fukushima. Raggiungere il quorum in solitaria, senza il concorso dei voti contrari - pur presupponendo che un certo numero di elettori vada a votare comunque e non accetti la strategia astensionista (ieri i No sono stati 2 milioni) - significa organizzare un partito referendario in grado di raccogliere 22-23 milioni di voti, che mai nessuna coalizione politica ha raggiunto in alcuna elezione, per tutta la storia della Seconda Repubblica. Al problema quorum, per il futuro, la riforma costituzionale ha posto oggettivamente rimedio, portandolo a una quota più fisiologica e sopratutto relativa, pari alla metà dei votanti delle ultime elezioni politiche. Ben pochi referendari riconoscono però questo merito all'esecutivo.

La seconda e più bruciante sconfitta dei promotori è stata quella sul numero assoluto di elettori portati ai seggi a pronunciarsi contro la norma incriminata e a sostegno della vulgata no-triv. I 13 milioni di Sì che il referendum ha incassato sono un risultato abbastanza mediocre, più o meno quello di un elettore su quattro, e insufficiente per rivendicare il significato "maggioritario" del responso referendario. Confrontare, come fa Emiliano, questo bottino con quello, di due milioni inferiore, raccolto da Renzi alle scorse elezioni europee non ha molto senso. Con la stessa "logica" si potrebbe sostenere che il PD Veltroni nel 2008, perdendo male le elezioni politiche con 12 milioni di voti, abbia ottenuto un risultato migliore di quello con cui il PD di Renzi, raccogliendo un milione di voti in meno, ha trionfato alle europee 2014.

Però l'esito del voto, se premia la scelta del governo e quella, non necessaria e rischiosa, del premier di mettere la faccia sulla strategia astensionista, di sicuro non mette al riparo la maggioranza parlamentare renziana dal rischio che questi 13 milioni di SÌ, depositati ieri nelle urne referendarie, siano in gran parte pronti a trasformarsi in 13 milioni di NO al referendum confermativo di ottobre. Peraltro al fronte anti-renziano che dovrebbe mobilitarsi contro la riforma Boschi ieri mancavano all'appello alcune divisioni. Quelle berlusconiane, ad esempio, che, Brunetta e Toti a parte, hanno tirato i remi in barca per tutta la campagna referendaria (Berlusconi prima ha taciuto, poi si è astenuto). E buona parte di quelle grilline, che, al di là delle dichiarazioni di prammatica, si sono impegnate con una intensità inferiore al loro effettivo potenziale.

A guardare i sondaggi elettorali - non quelli sul referendum confermativo, che di certo oggi non fotografano la propensione al voto, ma al massimo il giudizio sulla riforma - Renzi non ha al momento in tasca abbastanza voti per vincere il referendum di ottobre. Anche ipotizzando, in modo molto ottimistico, che il PD sia in termini di voti assoluti non troppo distante dal risultato del 2014, va considerato che nel capitale dei voti PD una parte, minoritaria, ma non irrilevante, a ottobre sarà investito sul fronte del NO. E in soccorso di Renzi, al momento, dovrebbero arrivare solo le componenti centriste della sua coalizione, che non sappiamo quanto vorranno impegnarsi e soprattutto quanti voti reali sapranno mobilitare.

Per vincere al referendum di ottobre, a Renzi potrebbero servire tra i 13 e i 16 milioni di voti (con un affluenza compresa tra il 50 e il 60%). Sulla carta, al momento ne mancano all'appello svariati milioni, che non può conquistare né dentro il PD, né nel perimetro formale della sua attuale maggioranza. Questo, ovviamente, non pregiudica il suo possibile successo, ma rende l'appuntamento rischioso, perché la personalizzazione del referendum potrebbe alienargli ulteriori simpatie e incentivare il "voto contro", ma nel contempo, senza drammatizzare l'evento, e enfatizzare il rischio dell'Armageddon politico, difficilmente Renzi conquisterà il voto degli indecisi, dei favorevoli tiepidi e degli elettori "menopeggisti", che potrebbero stare con lui semplicemente per paura o mancanza di alternative.

@carmelopalma