islamscuola

La vicenda della scuola di Varese, in cui alcune studentesse musulmane si sarebbero rifiutate di osservare il minuto di silenzio in ricordo delle vittime di Parigi, merita più di una riflessione perchè come poche altre, in queste ore, ci pone di fronte ad interrogativi densi di significato. 

Premettiamo subito che se martedi scorso, nell'aula del Consiglio Regionale dove siedo, qualcuno si fosse rifiutato di partecipare alla commemorazione delle vittime, l'avremmo preso tutti a male parole, anche se musulmano. E nessuno avrebbe avuto di che eccepire. Individuata la premessa come pratico metro valutativo, suppongo condiviso, proseguo. Qualcuno potrebbe obiettare che l'esempio in premessa, pur valido in assoluto, non sia rigidamente applicabile in un caso, come è quello di Varese, che vede coinvolte delle adolescenti, e non già degli adulti investiti da cariche istituzionali.


Qualcun altro potrebbe invece dire - mi pare lo abbia fatto la preside - che le le ragazze cercassero in fondo delle "lecite spiegazioni" (più o meno del tipo: perchè commemoriamo solo gli occidentali?) e che pertanto sarebbero, in qualche modo, giustificabili. Altri infine, diversamente - e qui mi pare sia stato il sindaco a farlo - potrebbero richiedere alle autorità un puntuale monitoraggio delle famiglie delle ragazze e degli ambienti frequentati, vista la gravità dell'accaduto. Confesso che comprendo abbastanza tutti i punti di vista, purchè si trovi un giusto equilibrio tra gli stessi e, cosa più importante, non si perda la testa.

Convengo che da adolescenti si facciano stupidaggini, è evidente. Magari si smettesse di farle a quell'età, ma questa è un'altra storia. Resta il fatto che il comportamento tenuto nel caso in questione sia profondamente sbagliato, comunque lo si osservi e giudichi, e pertanto occorre riconoscerlo come tale, senza giri di parole: una grossa stupidaggine. 
Passiamo quindi alle altre due questioni individuate, entrambe importanti per motivi differenti.

Come rispondere al lecito bisogno (delle ragazze) di "spiegazioni"?

Come rispondere al lecito bisogno (della collettività) di sicurezza? O meglio ancora, in questo caso (e non è un sofisma), di "sentirsi sicura"?

Se la richiesta non era pretestuosa le ragazze hanno ragione di voler capire perchè in Italia, e quindi in Europa, noi siamo soliti commemorare, con maggior frequenza e partecipazione, i morti occidentali. La risposta è banale: perchè più vicini (e non c'è nulla di male a riconoscerlo) alle nostre vite, alla nostra storia, alla nostra cultura. Figuriamoci, poi, se parliamo di europei, ovvero di popolazioni sorelle a tutti gli effetti. Per essere più chiari si potrebbe portare quest'esempio: mentre per la morte di una mia zia piango, per la morte della zia di un amico sono dispiaciuto.

Sarà brutale da dire ma questa è l'esatta realtà delle cose, e dissimularla rischia di essere ben più dannoso di quanto non sia riconoscerla. 
Non sarebbe poi certamente una cattiva idea quella di invitare le studentesse ribelli a raccontare ai propri compagni le proprie esperienze di immigrate (o di figlie di immigrati) e i loro valori di origine. Per capire insieme se ed in che modo essi siano diversi da quelli che permeano la nostra società. Per conoscersi, insomma. Beninteso, ricordando loro, che per quanto le rispettive, trascorse vicende familiari possano essere state difficili e dolorose, oltre che geograficamente lontane, oggi la loro storia è qui, in questa Italia e in quest'Europa.

Quel che dovrebbe appunto condurre le stesse ad un'ulteriore, decisiva presa di coscienza: avrebbero potuto esserci pure loro, o dei loro congiunti, tra quei morti, visto che negli attacchi sono caduti anche europei (e non europei) musulmani. E pertanto, l'equazione tra morti occidentali e morti non islamici non ha alcun senso.

Vengo alla sicurezza. Il sindaco che invoca un controllo capillare ha comprensibili ragioni, oggi non possiamo permetterci di non monitorare situazioni sospette. Ma è anche bene, ripeto, non cedere agli isterismi. La questione può essere seria, ma allo stesso modo potrebbe risolversi proprio spiegando alle ragazze, attraverso la scuola - e certamente anche attraverso i genitori, una volta posti di fronte al problema, e appurato che non si tratti di jihadisti - come stiano le cose. E come è bene rimangano.

Perchè una delle cose che deve essere risultare più chiara a queste adolescenti, alle loro famiglie ed anche a tutti noi, è che la nostra differenza, di europei, rispetto alle bestie che puntano ad annientarci, non sta nella violenza che possiamo esprimere (la storia è testimone di quanto anche noi abbiamo potuto essere spietati), semmai nelle risposte che sappiamo e vogliamo dare. Ma anche nelle domande che possiamo e vogliamo porci. E porre. Sarebbe utile, a tale riguardo, chiedere a queste ragazze se loro ci si sentano, europee. Se la risposta fosse, come penso, affermativa, tutte le cose dette troverebbero un ancor più comprensibile senso.

Se invece affermativa non lo fosse, non potremmo negare di essere di fronte ad un problema, pur sapendo anche di avere gli strumenti per gestirlo. Ovvero usando l'umanità che si deve a giovani talora pure comprensibilmente disorientati, e tuttavia anche il pragmatismo che serve a chi si trovi davanti ad un potenziale, prossimo pericolo. Insomma, penso che maturando più consapevolezza della reale situazione in essere, che non può risolversi in assoluti (nè di scontro forzato, nè di inesausta comprensione), le ipotetiche bombe di domani possano essere disinnescate per tempo.

E magari, in qualche modo, potremmo concludere come forse sia persino un bene se certi nodi vengono al pettine proprio adesso. 
Sta a noi districarci nel groviglio di ragioni, paure e pregiudizi. Tenendo sempre ben presente chi siamo e cosa non rinunceremo ad essere.