L'affluenza al 54% delle Regionali ridimensiona ancora una volta il ruolo, che alcuni vorrebbero taumaturgico, della preferenza nella lotta all'astensionismo, dal momento che già alle Europee l'elettore aveva tra le mani ben tre scelte. Un dato che però preoccupa ancora di più se si considera il livello locale dell'elezione, con circoscrizioni formato provincia e un rapporto rappresentante-rappresentato stretto, simile a quello sancito dall'Italicum.

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Ma allora come ha usato il voto di preferenza chi è andato alle urne? Sono tre i livelli di scelta coinvolti: 1) il voto al candidato presidente 2) il voto alla lista 3) il voto al candidato consigliere, interno alla lista.

Il grafico seguente mostra quanto il voto alle liste collegate al candidato presidente abbia contribuito al voto al candidato (non si tratta dunque della percentuale dei voti ai soli candidati presidenti). Si parametrizza dunque in ipotesi il voto disgiunto, abolito comunque nelle Marche e in Umbria.

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Tra le sette regioni spicca il dato del candidato "rosso" in Liguria, Pastorino: la somma dei voti alle due liste a sostegno della sua candidatura copre appena il 58% dei voti personali. Facile, comunque, argomentare come in questo caso abbia pesato più il voto alla persona/presidenza, in una competizione tutta interna al centrosinistra, che il voto ai candidati consiglieri o a liste che non rappresentano partiti nazionali.

Interessante il caso del Movimento 5 Stelle. Chiamati alla prova del radicamento, i grillini registrano performance differenti sul territorio nazionale: Berti, Salvatore e Maggi, leader in Veneto, Liguria e Marche, trascinano meno consensi alla lista pentastellata (73-75%) rispetto ai risultati a valanga di Giannarelli in Toscana (97%) e Liberati in Umbria (95%).

Le concentrazioni più rilevanti di voti accordati alle liste sulla base delle preferenze al presidente si osservano in Puglia e in Toscana.
Agli elettori, dice il grafico, il fast vote piace: una croce sul nome del presidente e via dalla cabina, altro che liste e candidatucci che fanno perdere tempo. Il fenomeno, quantifica il Cise (link qui), risulta più frequente al Nord che al Sud.

Cosa succede invece al tasso di preferenza se ci si sposta dal Nord al Sud? Per tasso di preferenza si intende il rapporto tra i voti totalizzati dai candidati di una lista e i voti accordati alla stessa lista. L'elettore infatti può non scrivere il nome del candidato, ma può comunque barrare il simbolo della lista.

Storicamente questo rapporto, usato anche come indicatore del clientelismo elettorale, ha registrato valori bassi al Nord e più alti al Sud. Un trend confermato anche dalle ultime regionali.

È infatti la Puglia la regione col maggior tasso di preferenza, staccata di molto da Campania e Marche, mentre chiudono la classifica Veneto e Toscana. Una graduatoria però leggermente falsata dall'introduzione della doppia preferenza di genere in alcune regioni tra cui la stessa Campania.

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E se invece si confronta il tasso di preferenza dei partiti? A livello nazionale l'elettorato più mobilitato dai candidati appartiene al cartello di Ncd/ Area Popolare, diversamente declinato nelle sette regioni, ma complessivamente sopra il 60%, mentre gli elettori del Movimento 5 Stelle (poco sopra il 20%) confermano la propria vocazione al voto di lista senza troppi fronzoli nelle indicazioni ai candidati. Poco distanti, anch'essi sotto il 30%, i leghisti. Forza Italia e Pd sostanzialmente allineati entrambi tra il 40 e il 50%.

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La preferenza sembra quindi premiare quei soggetti politici più propensi a organizzare il consenso e a mobilitarlo con network extrapartitici, attraverso comitati elettorali che premiano la logica di lista più che di partito. In un contesto di bassa affluenza, il rito delle elezioni appare insomma come un regolamento di conti one shot che mette di fronte bande screditate dalla maggior parte dell'elettorato, ma comunque costrette ad "armarsi e partire" con i propri intimi.

Non ci sembra dunque lo strumento della preferenza il mezzo utile per risolvere il deficit di rappresentanza e credibilità dei partiti: meglio infatti tenere primarie interne ai partiti attraverso le quali definire le liste elettorali, una leva capace soprattutto di raddoppiare il livello di notorietà dei candidati.

Vale la pena infine "aprire" il dato a livello locale per evidenziare come la Lega Nord si sia evoluta verso un partito che non si limita ad essere la sommatoria dei suoi candidati. Sia in Liguria che in Veneto, infatti, solo un elettore della Lega su 3 ha dato la preferenza a un candidato (con punte nelle province di Savona, Padova e Treviso). [NdA: Sono riportati nel dettaglio i dati per provincia di 5 regioni, tutte tranne Umbria e Marche]

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Una vocazione non dissimile da quella del Movimento Cinque Stelle che in Puglia sfoggia una miglior organizzazione mirata sui candidati...

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Viaggia invece a tassi più sostenuti Forza Italia che in Puglia annovera le concentrazioni più alte con candidati molto capaci di mobilitare e organizzare il consenso. Curioso che il partito di Berlusconi vinca il derby con la lista Oltre promossa da Raffaele Fitto, nonostante la lista Oltre totalizzi un TFP pari al 90%.

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Trend simile anche per il Partito Democratico, ma su volumi più ampi.

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