Bitcoin e le monete 2.0: solo speculazione, o anche un futuro di opportunità?
Innovazione e mercato
Il bitcoin è sicuramente la più famosa delle monete virtuali, le “monete 2.0”, comparse sul web negli ultimi anni. Un fenomeno che attira sempre più l’attenzione dei media. In sintesi, bitcoin è una moneta nata nel 2009 su iniziativa di un privato. Non è sorretta, quindi, da alcuna istituzione pubblica e la sua circolazione sul web si basa esclusivamente su rapporti di natura fiduciaria.
I bitcoin vengono creati direttamente in rete da un meccanismo peer to peer che ne controlla e ne limita la quantità esistente. Ad oggi sulla rete esistono circa 12 milioni di bitcoin, e il numero massimo di “pezzi” virtuali in circolazione è fissato in circa 21 milioni. La circolazione del bitcoin fino a oggi è avvenuta sostanzialmente su internet, anche se in qualche caso ne è stato sperimentato l’utilizzo anche fuori dal web. Il bitcoin può essere convertito in una normale valuta ufficiale, per esempio il dollaro, in base a un cambio fissato su piattaforme-mercato online, la più nota delle quali è MtGox.
I commenti che si leggono oggi sul bitcoin sono prevalentemente scettici. Buona parte degli osservatori mette l’accento su due bolle speculative che hanno interessato le quotazioni della nuova moneta nel corso del 2013. Ad aprile scorso, nel giro di pochi giorni il prezzo del bitcoin prima è salito da circa 20 dollari a oltre 200 per poi precipitare sotto i 40 dollari. Un fenomeno analogo, ma di proporzioni maggiori, si sta riproponendo di nuovo. Il bitcoin valeva circa 210 dollari a metà novembre ed è salito a quasi 1.200 dollari nel giro di appena un mese (+500 per cento!). Nel momento in cui scrivo la maggior parte degli esperti ritiene che anche lo scoppio della seconda bolla sia imminente. Il bitcoin viene definito una sorta di nuovo strumento della “speculazione 2.0”. E’ escluso, si dice, che potrà mai competere con valute ufficiali come il dollaro, l’euro o la sterlina. Molti esperti di finanza ci tengono a sottolineare che facendo affidamento su una simile moneta, basata semplicemente su rapporti fiduciari e priva del supporto di uno stato nazionale, si rischia grosso. In poche parole, prevale l’opinione che creare delle “monete private" sia un esperimento pericoloso e destinato a fallire.
Io non condivido tanto pessimismo. Parte dello scetticismo nei loro confronti è il risultato di troppa enfasi attribuita all’altalena delle quotazioni e alla speculazione che c’è dietro. Mi guarderei bene anche io dall’investire a cuor leggero denari su una moneta virtuale come il bitcoin. Non è una cosa saggia, al momento, a meno che non abbiate voglia di giocare a una specie di casinò virtuale. Ma l’enfasi eccessiva sull’andamento delle quotazioni rischia di farci catalogare come pura speculazione, “titolo tossico”, “pericoloso derivato” e quanto c’è di peggio, qualsiasi cosa su cui il mercato ha montato una bolla finanziaria. E questo impedisce una chiara visione delle potenzialità e delle prospettive possibili. Non dimentichiamo che un numero crescente di utenti internet utilizza il bitcoin non per speculare ma per rendere più facili gli acquisti online o per migliorare e ampliare la rete di relazioni commerciali di una attività sul web. In questo senso il bitcoin pare anche a me una opportunità da cogliere.
Probabilmente questo è il concetto che Ben Bernanke ha voluto esprimere in una recente audizione al Congresso americano sul tema delle monete 2.0. Anche il governatore uscente della Fed, infatti, sostiene che queste ultime possono essere utili all’economia e che andrebbero viste come una opportunità. Lo stesso Bernanke ha peraltro sottolineato che la Fed, al momento, non ha alcuna ragione ne alcun potere di controllo su di esse, dato che rimangono una prerogativa della libera contrattazione tra privati. Penso che per farsi una opinione corretta sulle potenzialità e sulle le prospettive del bitcoin e delle monete 2.0 bisogna anche togliere di mezzo un equivoco: le nuove monete non nascono per soppiantare le valute ufficiali degli stati, ma per affiancarle. Vanno pensate come complementari tra loro e non sostitutive. Ricordiamo che una idea simile fu espressa anche da Hayek, secondo il quale la concorrenza tra più monete private avrebbe meglio garantito la stabilità monetaria. Personalmente condivido l’opinione che un sistema di scambi basato su più monete complementari può funzionare in modo più efficiente e mobilitare maggiori risorse produttive di quanto la moneta ufficiale dello stato sia in grado di fare da sola. E su questo la realtà economica sembra venirmi incontro.
Esistono moltissimi esempi di “monete private” nate molto prima dell’avvento del web e che funzionano molto bene. Bernard Lietaer e Jacqui Dunne, nel loro libro “Rethinking Money: How New Currencies Turn Scarcity into Prosperity", ne hanno censite circa 4.000 in tutto il mondo. Di solito queste monete private vengono utilizzate all’interno di specifici network di scambio, che spesso sono anche geograficamente localizzati in un determinato territorio, e la loro circolazione è basata esclusivamente sul rapporto fiduciario tra coloro che appartengono al network. In molti dei casi censiti, la creazione della moneta privata è stata la chiave per la rinascita economica di un territorio e il benessere di intere comunità. Un primo esempio sono i LETS (Local Exchange Trading System), reti di scambio utilizzate dagli appartenenti a una stessa comunità territoriale, dove i pagamenti sono regolati con i LETS credit, una vera a propria moneta privata locale. Un’altro esempio famoso è il WIR, che una rete di imprenditori svizzeri della provincia di Zurigo introdusse nel tentativo di superare i problemi sorti con la crisi nel 1929.
Le monete complementari eliminano i vincoli alle relazioni economiche tra individui e in questo modo accrescono la loro libertà di interagire e le chance di sviluppo economico. Una moneta complementare in molti casi può mobilitare risorse inutilizzate indirizzandole verso finalità utili e produttive e mettendo così in moto l’economia di un territorio. Non è un caso se in questo momento di crisi, caratterizzato proprio da carenza di liquidità e di credito, si moltiplicano le reti di relazioni dentro le quali gli scambi di beni e servizi sono regolati attraverso “banche del tempo”. Le monete private censite da Lietaer e Dunne sono una sorta di precursori delle monete 2.0 ma il loro utilizzo è generalmente circoscritto dal punto di vista geografico e limitato a un determinato territorio.
Su internet, invece, la creazione di network tra soggetti che hanno interessi comuni, siano essi di collaborazione produttiva, di relazioni sociali, di scambio o di servizi di pagamento è completamente sganciata da vincoli geografici (piattaforme di scambio come E-bay o Amazon, i social network, i servizi come PayPal o Moneybookers ne sono un esempio). È chiaro quindi che il web è in grado di moltiplicare le potenzialità di una moneta complementare. Le monete 2.0 possono facilmente servire al funzionamento di network su scala globale e diventare in un certo senso proprio le monete de-nazionalizzate immaginate da Hayek, in grado di bypassare i confini degli stati nazionali. Sul fronte delle nuove monete virtuali l’evoluzione è continua. Secondo qualcuno Paypal, il sistema leader mondiale di pagamenti elettronici, potrà adottare in futuro proprio il bitcoin come moneta complementare alle altre valute ufficiali. E lo stesso potrebbe succedere su E-bay migliorandone magari l’efficienza. Volendo spingere la fantasia oltre, in futuro, cosa impedirebbe a Facebook di diventare anche una piattaforma per lo scambio di beni e servizi che funziona con la propria moneta virtuale? A quel punto anche i facebook credit diventerebbero una vera e propria moneta 2.0 in concorrenza con i bitcoin e con le valute degli stati nazionali.
In sintesi, le monete 2.0 oggi, così come i numerosi esempi di monete private complementari esistenti già prima dell’avvento del web, sono la conferma che la moneta non è una creazione dello Stato. Che le monete nascono sul mercato dove gli individui, lasciati liberi di interagire, costruiscono le reti di relazioni economiche che sono alla base della crescita e dello sviluppo. Che l’utilizzo esclusivo di una sola moneta, quella ufficiale dello Stato, in talune situazioni rischia di essere una camicia di forza per gli individui e per le imprese. Lo è sicuramente in una situazione di crisi, quando liquidità e credito scarseggiano. Può esserlo per le relazioni economiche che si sviluppano su internet, dove invece le monete 2.0 sono lo strumento più idoneo per regolare i rapporti di scambio che si perfezionano all’interno dei network virtuali.
Insomma, non escluderei affatto che prima o poi le valute degli stati nazionali si troveranno a convivere con le monete complementari, in primo luogo con le monete 2.0. Sarà una vera sfida in particolare per gli stati e per i sistemi bancari tradizionali. Per entrambi la diffusione delle nuove monete sarà prima di tutto un indicatore del grado di fiducia che ancora gli riservano cittadini e clienti. Per i secondi potrebbe trattarsi di una vera e propria concorrenza per le quote nel mercato del credito. Allora è probabile che l’establishment finanziario smetterà di bollare il bitcoin come un passatempo transitorio della speculazione. E non mi stupirei se in futuro proprio le banche tradizionali dovessero scegliere di crearsi le proprie monete 2.0 per meglio competere in questo nuovo settore.