logo editorialeL’Europa sospinta dal ciclone del rinnovamento renziano ha preso un verso così radicalmente altro da ricordarci il verso dell’Italia democristiana. L’Italia dai colori seppiati dei governi all-inclusive e senza scopo, quelli della farsa sfacciata recitata per passare il tempo stando al governo senza governare, occupando ruoli autorevoli senza essere autorevoli, simulando dinamiche politiche così convulse da non poter scaturire in altro che nell’immobilità.

Il riferimento non è ad Andreotti - ché faremmo un torto alla memoria patria se paragonassimo la oscura, deviata ma senz’altro grandiosa negatività del dominus dell’immobilismo italiano alla scolorita, disincantata, sfacciata nullità del neo presidente della Commissione europea, il tecno-burocrate Jean-Claude Juncker, al quale il Parlamento europeo ha accordato fiducia per la guida dell’organo esecutivo unionista dei prossimi cinque anni. Juncker ha fatto il compitino secondo copione: le paroline “flessibilità” e “crescita” ci sono, nel suo speech pre-voto, così come c’è anche la garanzia ai germano-scandinavi che i trattati non si violano. Si spreca pure la retorica sul lavoro che in Europa manca – e manca a dispetto dell’ambizione fallita di Europa 2020, o meglio a causa della sostanziale finzione dell’Agenda scritta dal presidente uscente, José Manuel Barroso, predecessore recidivo.

Nel discorso neo-presidenziale c’è anche la prescrizione del “tavor” omeopatico da somministrare al nervosissimo governo italiano ostinato nell’aggiudicarsi l’italianità della casella istituzionale più sbiadita di capo della diplomazia europea – il ruolo deciso da Renzi per Federica Mogherini. A Roma non si ha ansia di ritagliare all’Italia un profilo internazionale proprio – obiettivo gravoso e potenzialmente persino rischioso - bensì di conformare il profilo italiano all’utilitarismo tedesco dell’equi-valenza di fronte alle molteplici opposte valenze del globo intero - Russia-Ucraina, Europa-Usa, Arabi-Israeliani, Iran-Occidente - che pari invece non sono. E saremmo davvero ipocriti se negassimo il sospetto di come cotanta insistenza da parte dell’esecutivo italiano nell’insediare su quella poltrona la disciplinata Mogherini non fosse in realtà anch’esso il frutto di uno scambio fungibile all’immobilità perseguita nel dietro le quinte dello stabile strasburghian-brussellese. Sponsor unico della candidatura italiana non a caso è la Germania dello sgamatissimo Frank Steinmeier – potere forte della internazional-socialdemocrazia che ha accolto tra le sue braccia la giovane compagna Mogherini offrendole orientamento, protezione: in pratica la linea a-valoriale, ma sostanziale, del lasciare che le cose che in Germania vanno bene vadano bene anche all’Europa, ovvero restino appunto così.

La democrazia è solo una formula, ed una formula di per sé non garantisce il risultato. La competizione democratica tra candidati delle forze politiche al ruolo di Presidente della Commissione è stato un bell’esercizio del possibile, praticato tuttavia nello stesso spirito finzionale e asfittico che domina l’Europa post Maastricht ovvero da quando, dopo aver coltivato l’alienazione degli europei con una mostruosità burocratico-parassitaria che davvero, al solo pensarci, fa persino paura, si offre non meno parassitaria né meno burocratica: semplicemente più spendacciona.

Esattamente come nell’Italia primo-repubblicana: non c’è un senso per questa storia europea, ma questa storia, statene certi, durerà.

@kuliscioff

juncker