L'Europa degli alibi perfetti
Editoriale
Lo scorso anno, le elezioni politiche in Italia hanno anticipato una tendenza, che il voto amministrativo francese e ancor più le previsioni per il voto del prossimo maggio per il Parlamento di Bruxelles confermano essere, a tutti gli effetti, "europea".
La dialettica politica/antipolitica si è sovrapposta alle dinamiche intrapolitiche della competizione democratica. L'organizzazione pluripartitica del consenso rischia di essere schiantata dalle dimensioni di un dissenso antipartitico di dimensioni crescenti. Le grandi famiglie politiche europee sono sempre meno grandi e sempre meno europee, mentre le aree cresciute ai margini del sistema politico mainstream, mischiando demagogia economica e territorialista, crescono ben oltre la misura di un fisiologico voto di protesta.
L'antieuropeismo "vincente" non è storicamente un prodotto del fallimento europeo, ma di una sindrome politico-culturale pre-europea, che negli anni delle vacche grasse era rimasta latente, ma non invisibile e che la crisi economica ha slatentizzato.
Ritornano in superficie i nazionalismi che la costruzione europea aveva rimosso, ma non del tutto "guarito" e che le asimmetrie dell'eurozona e le dinamiche della globalizzazione economica rendono tanto affascinanti sul piano retorico, quanto inservibili sul piano pratico. L'Europa si disarticola così lungo la linea dei propri confini interni e si dissolve ai propri confini esterni.
La Francia profonda rinnega Bruxelles e l'Europa profonda rinnega l'Ucraina europea. I rigurgiti nazionalisti e le tensioni localiste sono un alibi perfetto per l'inefficienza delle istituzioni europee. La distanza dell'Europa è l'alibi perfetto per gli apologeti dell'autoisolamento e dell'eurovittimismo nazionalista. Ci vorrà molto coraggio e molta fantasia per uscire da questa trappola.