"Abbiamo voluto dare all'Italia un movimento politico dalle radici salde e dall'identità chiara", annuncia Angelino Alfano dalla homepage di www.nuovocentrodestra.it. Nella schermata successiva, una sorta di wall of fame con le firme dei suoi compagni di viaggio, da Augello a Cicchitto, che circondano il (molto criticato) simbolo; in basso scorrono le dichiarazioni di Lupi e Sacconi; al centro, il modulo per registrare il proprio circolo, con l'annuncio che "2500 amministratori locali hanno già aderito al nostro movimento".

Sarà, eppure a un mese dalla fondazione, e nonostante la grande attenzione mediatica che ne ha seguito la nascita e i primi passi, il partito dell'ex delfino berlusconiano non sembra pronto al decollo, né sembra, a dire il vero, aver trovato (o quantomeno comunicato al paese) quella "identità chiara" proclamata a gran voce e che però pare risolversi solo, un po' pigramente, nell'uso della parola "centrodestra", quasi che la complessità delle sfide cui oggi si trova a dover fronteggiare la politica potessero leggersi (e risolversi) con una blanda definizione topografica. E infatti sul sito ufficiale, tra un modulo di adesione e un comunicato di Formigoni, non si rinviene alcun passaggio programmatico, nessuna visione del paese, nessuna chiave di lettura sulla crisi e sul suo superamento. Che ricette, al di là delle generiche dichiarazioni d'intenti, per far ripartire l'Italia? Quale idea di Europa? Che modello di welfare? Che visione per l'integrazione e i cosiddetti nuovi diritti? Ci si ispira al partito popolare europeo (che va da Angela Merkel e da Reinfeldt all'ungherese Orban) e di più non dimandare.

Certo, in mezzo c'è stato il dibattito interno al Pd, e soprattutto ci sono stati i due milioni di voti per Matteo Renzi: non è facile competere con le straordinarie doti comunicative del sindaco di Firenze. Costruire un nuovo partito da "numero due" di un governo di coalizione, per di più in tempi di crisi, poi, non è sicuramente un compito facile. E la rottura con il Berlusconi di oggi - condannato, decaduto e interdetto - non garantisce certo l'enorme e quotidiana visibilità di cui godette chi (Fini) ruppe con il Berlusconi trionfante, capo del governo e leader del primo partito d'Italia.

Eppure l'impressione è che il Ncd non riesca, e forse non sappia, slegarsi dall'immagine del "partito dei ministri", certo non il miglior viatico per mandare agli elettori "moderati" delusi e indecisi - bacino cui Alfano intende rivolgersi - un messaggio di novità e di freschezza. E che non sia in grado di intestarsi, in seno al governo, nessuna battaglia significativa, anche solo dal punto di vista dell'immagine, per guadagnare un po' di spazio nel dibattito politico e ampliare la propria base di consenso.

Ma l'affanno del Nuovo centrodestra dimostra anche quanto sia difficile muoversi in un campo il cui centro magnetico, nonostante tutto, resta Silvio Berlusconi. O si sta con lui o si sta contro di lui. La via di mezzo un po' furbetta escogitata da Alfano e dai suoi compagni di viaggio alla lunga non regge. "Siamo di centrodestra", va bene; ma cosa significa? Se il prossimo leader del "centrodestra" italiano sarà ancora Berlusconi, o magari la figlia Marina, il "nuovo centrodestra" tornerà a fare campagna elettorale assieme a quello vecchio? Costruirà un "nuovo centro-centro"? O forse si alleerà con un "nuovo centrosinistra"? Anche questa domanda - che dimostra quanto la politica non possa essere ridotta a questione di nomi e di luoghi - resta senza risposta. Anche se la bonarietà del Cav nei confronti dei presunti "traditori" suggerisce già qualcosa.