Per Trump e Putin l’Ucraina è solo il mezzo. Il fine comune è la distruzione dell’ordine politico internazionale
Diritto e libertà

Il secondo vertice tra Donald Trump e Vladimir Putin non è mai stato, nella sua profonda logica strategica, un genuino sforzo per porre fine alla guerra in Ucraina. Il fatto che sia stato rinviato sine die non cambia la natura dell’intesa tra il Cremlino e la Casa Bianca, tra cui permane un solido legame d’interesse e di visione.
Per entrambi l’Ucraina è semplicemente lo strumento, il pretesto ideale e più tangibile, attraverso cui perseguire un obiettivo geopolitico molto più ambizioso e distruttivo: lo smantellamento sistematico del multilateralismo e dell’ordine internazionale fondato su regole e istituzioni, così come è stato concepito dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e si è imposto globalmente dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda.
L'Ucraina non è il fine, ma il mezzo per dimostrare l'irrilevanza delle strutture globali. Sia l’approccio “America First” di Trump che la dottrina neo-sovietica e neo-imperialista di Mosca vedono le istituzioni globali come lacci e impedimenti alla loro piena libertà d'azione e sovranità.
Questa convergenza di intenti affonda le radici in concezioni politiche, filosofiche e ideologiche profondamente simili, animate da una potente nostalgia reazionaria. Sia il “Make America Great Again” sia la dottrina neo-imperiale e neo-sovietica russa si basano sul culto di un passato mitico in cui le rispettive nazioni godevano di un’autorità indiscussa e incontestata.
L’uno invoca un’America forte e isolazionista, non imbrigliata dai lacci della responsabilità globale, l’altro mira a restaurare la sfera d'influenza globale dell’Unione Sovietica. Entrambe le visioni vedono il presente, caratterizzato dalla globalizzazione, dal diritto internazionale e dal multilateralismo, come un periodo di decadenza e umiliazione da cui bisogna riscattarsi.
Il vertice tra le due potenze nucleari, condotto al di fuori dei consueti formati multilaterali, serviva a inviare un messaggio preciso al mondo: le questioni critiche si decidono tra le grandi potenze, ignorando gli organismi di consultazione collettiva.
Ma il vertice è collassato prima di nascere sotto il peso stesso delle due filosofie reazionarie che lo volevano. La richiesta, seppur minima, di un cessate il fuoco era essenziale per fornire al vertice una maschera di legittimità, una finzione narrativa necessaria per presentare Trump come il pacificatore. Il rifiuto netto di Mosca di congelare le ostilità ha rivelato che persino questa finzione era troppo costosa per gli obiettivi del Cremlino. Un cessate il fuoco, anche temporaneo, avrebbe implicato un minimo e inaccettabile riconoscimento del diritto internazionale a mediare sul conflitto.
Questo attacco al sistema internazionale è particolarmente evidente nel disprezzo mostrato verso due pilastri dell'ordine occidentale. Per l’Unione Europea, la dinamica del vertice era concepita per massimizzarne la marginalizzazione. Isolando Bruxelles e i leader delle principali capitali europee, il dialogo diretto tra Washington e Mosca mirava a indebolire la politica estera e di sicurezza comune dell’UE, ridotta a un mero spettatore passivo, con la sua politica estera aggirata e le sue divisioni interne esposte al cinismo delle Grandi Potenze. L'obiettivo era declassare il ruolo geopolitico dell’UE a semplice bancomat di decisioni prese altrove.
Inoltre, tenere il vertice in una sede che ignorasse il mandato di arresto della Corte Penale Internazionale contro Putin sarebbe stato l'atto politico più significativo. La CPI rappresenta il tentativo della politica di stabilire un principio di responsabilità universale. Ignorare o eludere apertamente questo mandato, in nome della Realpolitik, svuota di significato l’intero impianto della giustizia internazionale.
Il vertice doveva sancire che la legge e la giustizia universale non hanno potere sugli uomini di potere, segnalando che, per le grandi potenze, l'impunità è garantita e che il diritto è subordinato alla convenienza politica. Il fallimento, momentaneo, del vertice non è una vittoria della politica bensì una sospensione del rischio. Non si è evitato il disastro per virtù, ma perché uno dei partecipanti ha ritenuto che il prezzo del mettersi in posa per la pace fosse un intralcio troppo grande per la sua guerra di conquista.
Il vero significato del vertice non risiedeva nelle clausole di un cessate il fuoco, bensì nella sua funzione di dichiarazione congiunta di guerra al sistema multilaterale, cercando di sostituire l'attuale sistema basato sulle regole con un nuovo ordine dettato dalla mera forza. L'insegnamento per il futuro è chiaro: quando la proposta di un vertice tra queste due figure riemergerà, la sua vera posta in gioco non sarà mai l'Ucraina, ma la distruzione del mondo comune.






