Privacy e pubblicità delle sentenze. Una pronuncia del TAR Lazio fa chiarezza
Diritto e libertà

Con la sentenza n. 7625 del 17 aprile 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Prima – ha parzialmente accolto il ricorso proposto da due avvocati, con il sostegno di numerosi interventi ad adiuvandum, avverso il provvedimento del Ministero della giustizia del 1° dicembre 2023, recante la dismissione del sistema informatico denominato Archivio giurisprudenziale nazionale (a.g.n.) e la contestuale attivazione di due nuove banche dati: una riservata ai magistrati (b.d.r.) e una pubblica (b.d.p.), quest’ultima consultabile previa autenticazione tramite SPID, CIE o CNS e caratterizzata da un’anonimizzazione integrale dei testi giurisdizionali.
La decisione si presta a considerazioni di rilievo sistematico, non solo per la materia regolata (il diritto di accesso alla giurisprudenza), ma anche per il metodo seguito dal Collegio, improntato a un costante bilanciamento tra interessi pubblici concorrenti: da un lato, la tutela dei dati personali; dall’altro, l’effettiva fruibilità della produzione giurisdizionale quale patrimonio conoscitivo della collettività.
In primo luogo, il TAR ha escluso la fondatezza delle doglianze riferite ai disservizi verificatisi nei giorni immediatamente successivi al provvedimento impugnato, qualificandoli come fisiologiche disfunzioni di avvio, non suscettibili di tradursi in vizi invalidanti. In questa parte, la sentenza ribadisce un principio ormai pacifico, secondo cui non ogni malfunzionamento tecnico può automaticamente ridondare in illegittimità dell’atto presupposto.
Quanto alla previsione di un accesso autenticato alla banca dati pubblica, il Collegio ha ritenuto la misura conforme alla normativa tecnica e regolamentare vigente, riconoscendone la proporzionalità rispetto agli obiettivi perseguiti. L’impiego di strumenti di identificazione digitale (SPID, CIE, CNS) non è stato dunque reputato lesivo di alcuna posizione giuridica soggettiva.
Il nucleo centrale della pronuncia risiede nella declaratoria di illegittimità dell’anonimizzazione massiva e indiscriminata dei provvedimenti pubblicati nella b.d.p. Il TAR ha osservato come tale prassi risulti in contrasto con gli articoli 51 e 52 del d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy), i quali impongono una valutazione caso per caso, improntata ai criteri di proporzionalità, necessità e adeguatezza.
L’occultamento generalizzato dei dati – compresi elementi essenziali quali il nome delle parti, la data della decisione, i riferimenti normativi e giurisprudenziali – è stato ritenuto lesivo del diritto alla conoscenza, nonché pregiudizievole per l’attività scientifica, per l’elaborazione dottrinale e per la stessa funzione difensiva, tutte inscindibilmente legate all’intelligibilità del testo giurisdizionale.
Il TAR ha escluso la possibilità di giustificare la scelta ministeriale sulla base di prassi adottate in altri settori dell’ordinamento – quali la giustizia amministrativa o la Corte di Cassazione – evidenziando come le relative banche dati siano disciplinate da fonti autonome, rette da criteri e finalità non immediatamente sovrapponibili. La diversità degli strumenti impone dunque il rispetto di un’autonoma coerenza interna.
Infine, la dismissione dell’a.g.n. è stata ritenuta espressione di una scelta amministrativa insindacabile nel merito, in quanto sorretta da un’adeguata motivazione e coerente con le finalità indicate nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Non è stata ravvisata, in particolare, alcuna violazione del principio di continuità informativa, essendo stato garantito un accesso alternativo, seppur con modalità differenti.
La pronuncia del TAR Lazio segna un punto fermo nel delicato equilibrio tra riservatezza e trasparenza nella pubblicazione delle decisioni giurisdizionali. Pur riconoscendo l’ampia discrezionalità amministrativa nella progettazione degli strumenti informatici, il Collegio ha ribadito che la protezione dei dati personali non può risolversi in una compressione assoluta del diritto alla conoscenza e alla piena intelligibilità del diritto vivente.
La sentenza, nel suo rigore argomentativo e nella misura delle soluzioni accolte, costituisce un esempio di quella giustizia amministrativa che sa porsi come garante dell’equilibrio tra le istanze dell’amministrazione digitale e le esigenze di una cittadinanza informata e partecipe della funzione giurisdizionale.
