propaganda russa grande

 

Dopo i fatti che negli ultimi mesi hanno sconvolto l’Ucraina, è diventato sempre più evidente come in Italia vi sia un serio problema nel mondo mediatico-giornalistico per quanto riguarda tutto ciò che è legato alla Russia; se i cronisti per lo più svolgono un lavoro abbastanza equilibrato, lo stesso non si può dire per i talk show, e in generale mancano gli strumenti per distinguere vero e falso, informazione e propaganda. La disinformazione non è un fenomeno recente, ma parte da lontanoe lo spiega bene il saggio collettivo “Bugie di guerra. La disinformazione russa dall’Unione Sovietica all’Ucraina”, scritto da tre esperti e pubblicato da Paesi Edizioni.

La prima parte del libro è opera di Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociale e Studi Strategici, il quale illustra come sono state concepite le tattiche della cosiddetta dezinformacija già da parte dei sovietici; pratica utilizzata sin dall’antichità per vincere le guerre e soggiogare i nemici, ai tempi del regime comunista assunse un ruolo ancora più centrale rispetto al passato per svuotare l’individuo di qualunque autonomia di pensiero. Attraverso i media statali, si cercava di plasmare la percezione stessa della realtà da parte della popolazione, per arrivare a farle credere che anche gli orrori che vedevano e i problemi che pativano in realtà non esistevano.

Caduta in disuso ai tempi di Boris Eltsin, questa strategia venne ripresa dopo che nel 2000 salì al potere Vladimir Putin, che ne aveva buona esperienza come ex-agente del KGB. Dopo aver cercato di dare di sé all’esterno un’immagine rassicurante nel suo primo mandato (2000 – 2004), in seguito cominciò ad attuare la propria guerra informativa in particolare verso i paesi ex-sovietici che voleva mantenere nella sfera d’influenza russa.

Il primo esempio si vede nel 2008 con la guerra in Georgia, poiché già allora, come fa oggi in Ucraina, non si è limitato ad attaccare il paese con aerei e carri armati: in precedenza i suoi hacker avevano attaccato i siti internet georgiani e le infrastrutture del paese e, così come oggi accusa Kiev di essere un governo di nazisti e di aver attuato un genocidio nel Donbass, allo stesso modo nel 2008 accusava il presidente georgiano Mikheil Saakashvili di aver discriminato la minoranza osseta.

Le tattiche utilizzate da Putin in quella che viene chiamata “guerra non lineare” prevedono un’influenza esercitata su più fronti: dalla creazione di canali d’informazione per la propaganda all’estero, come RT e Sputnik, al sostegno a movimenti e partiti politici in Occidente contrari all’UE e alla NATO. In questo egli ha attinto molto agli insegnamenti del filosofo cinese Sun Tzu, che nel suo trattato “L’arte della guerra” spiegava già 2500 anni fa come bugie e inganni siano strumenti più efficaci delle armi per vincere le guerre.

Chi è rimasto stupito nel vedere tanti intellettuali italiani prendere le difese della Russia in questo conflitto, forse non sa o non ricorda che già ai tempi della Guerra Fredda i sovietici finanziavano giornali e partiti (il PCI in primis) per fare propaganda a loro favore e presentare il modello comunista come migliore rispetto alle società occidentali e capitaliste. Di questo parla la sezione del libro scritta da Francesco Bigazzi, già direttore dell’ANSA, che spiega come già all’epoca politici e giornalisti legati a Mosca si prestassero a fare propaganda, chi per ideologia e chi per opportunismo. In particolare, grossi finanziamenti furono destinati già negli anni ’50 alle case editrici e alle testate della loro area politica, come il quotidiano “Paese Sera”.

Come invece si è evoluta la guerra non lineare nell’era di internet è stato approfondito dal giornalista e docente dell’Università degli Studi di Milano Dario Fertilio, che aveva già trattato il tema dei rapporti tra il Cremlino e i comunisti italiani nel saggio del 2021 “Berlinguer e il diavolo”. Negli ultimi anni la rete è stata il principale campo di battaglia sul quale ha combattuto Putin, prima ancora che in terra, cielo e mare. Un ruolo chiave lo svolge in particolare la IRA (Internet Research Agency), con sede a San Pietroburgo e in cui lavorano centinaia di persone che vengono stipendiate per gestire account falsi che fanno propaganda e disinformazione sui social a favore della Russia. I loro obiettivi principali sono, ad esempio, sostenere le posizioni russe sull’occupazione della Crimea e la Siria di Assad e contestare le politiche americane all’estero.

A questi troll sono state associate anche molte interferenze in diversi eventi cruciali della storia recente in Occidente: dalla Brexit all’elezione di Donald Trump, dal referendum costituzionale in Italia del 2016 al secessionismo in Catalogna. Tutte cose che dovrebbero far riflettere su quanto è ramificata la strategia del Cremlino, per il quale sembra quasi che la Guerra Fredda non sia mai finita veramente.