capitini grande

Ribellarsi alla "nientificazione" è anche un progetto politico; significa contribuire ad affermare la permanenza - nella vita pubblica – di una realtà umana, che non è riducibile al ciclo biologico della nascita e della morte e alla solitudine di chi nasce e muore. Affermarla in un ordine di libertà che è limite e vincolo per qualunque potere e nella scelta "di parte" per la società aperta, contro il mito nefasto della società perfetta, che invece idolatra la morte nel sacrificio necrofilo di tutti i diversi, gli irregolari, gli sbagliati.

La notizia brutta, la morte, ci tocca tutti da vicino: è l’addio di tutti – e ciascuno di noi è sempre questi tutti – agli amici, alla famiglia, agli amori e ai dolori. È una notizia che fa emergere timore, tremore ma anche una speranza del volere, del credere, del condividere. E questo conta, e molto: condividere.

I medici (ci sono anche quelli dello spirito) lo sanno: si può vivere quotidianamente il dramma fecondo di una "esperienza" alle prese con il limite e il confine, e noi tutti insieme - per esperienze di vita, di lavoro, di studi … anche per ragioni anagrafiche - sappiamo bene cosa è la morte, il baratro nero che "finisce" (?) il nostro mondo, il nostro tempo. Sembra aver cancellato tanti nostri cari e estinto miliardi di esseri umani, come se non ci fossero mai stati, con un’assenza che preme come un vuoto, come il destino di un nulla pronto a inghiottire ogni essere.

Ma è davvero così? Davvero ciò che è, ciò che esiste, diviene ni-ente?

O solo si nasconde per ritornare di nuovo? È questa l'eternità? È ovvio che nessuno di noi potrà mai davvero tentare una risposta definitiva, certa, a queste domande (e meno male !!). Nessuno di noi può soprattutto limitarsi a pensare queste domande senza giungere a una risposta che non passi dall’azione.
Allora, per reagire in qualche modo, mi rifugio nella prassi e nella decisione concreta, libera. Mi sembra così di trovare rifugio per tutti Noi, per il nostro tempo, per il futuro.

Siamo come tutti immersi in un Tu-Tutti, in un legame unico, spirituale, che ci lega da sempre nel profondo. Davvero non siamo mai stati soli e le mille voci interiori che strutturano le nostre esistenze, che spingono avanti le nostre azioni, che concorrono a rinnovare sempre il mondo degli uomini, confermano questa fratellanza e sorellanza originaria.
Anche i nostri morti operano in questa compresenza ... E non è quindi, solo ricordo.

Ogni passo fatto insieme risuona dentro e, nell'intimo, vivi e morti - come un coro - aggiungono giorno dopo giorno valore, senso, ad ogni nostro respiro. Siamo sin dall'inizio coinvolti in un passaggio di testimone che è comunità; comunità di santi, dicono i religiosi, ma anche semplicemente comunità di uomini. Di tutti gli uomini, non solo degli attualmente “viventi”.

Nascita dopo nascita e morte dopo morte, aggiungiamo qualcosa e non perdiamo qualcuno del tutto, è come un progredire ma senza una legge storica, senza automatismi naturalistici. È lo spirito che procede solo se lo facciamo passare, solo se con forza reagiamo all'attivismo di maniera, al culto dell'efficienza, al disvalore di un presente vissuto senza padri e senza figli. Ed allora anche gli offesi, i diminuiti, i pallidi, i senza forze, i mutili, i vinti, i morti, appunto, ritornano ad agire, a provocare, a produrre valori, significati, desideri.

Non cessano i morti di puntellare nell'intimo quella fiducia di fondo - indimostrabile ma allo stesso tempo ragionevole - che è necessaria per tentare ancora uno sviluppo all'avventura dell'uomo. La fiducia che ciò che è non svanisce, che non siamo fatti per la morte ma per la nascita, per il risveglio. La fiducia nel volto dell'altro come matrice del volto di Dio. La fiducia in un Dio da "fare nascere", da crescere, da custodire senza evidenze ma con la volontà creatrice di una necessità coessenziale al nostro respirare e vivere autentico.

È vero, si muore ma credere di credere, sperare contro ogni cosa sperata, volere e decidere senza rete di protezione e sicurezze, prendere parte in maniera persuasa per l'altro, per ogni vita, significa vincere anche la morte. Vincerla praticamente, esistenzialmente, con la forza luminosa del gesto buono e risoluto, con l'esempio dei nostri cari che raccogliamo ogni giorno, senza perderli davvero, scalfendo l'assenza con la presenza cogente degli atti, dei gesti, degli errori, dei sogni, delle vite che ci sono state trasmesse. Può essere questa la fede? La festa? È questa la religione? Il volto di Dio si arricchisce del volto di tutti? Il Tu, il tu che diciamo e sentiamo dentro, cosa apre innanzi a noi se non una forza in più per tentare il salto oltre il baratro?

Senza questa fiducia e apertura scevra da garanzie, ormai privi dei grandi bastioni formali (Chiesa e Stato), orbi delle verità e certezze scientifiche o teologiche (ormai diroccate), cosa è la nostra vita? Il Samaritano agisce e non dice, non corre oltre, ma si ferma e presta soccorso e vince le ferite e il dolore. Il Nonviolento agisce e boicotta, non collabora, reagisce e resiste, obietta e disarticola la violenza, la sconfigge patendo. E se la morte stessa non attendesse altro che il deporre ogni nostra capacità di generare dolore e morte? E se la decisione di "valore" anche per la vita del verme e del nido e dello sconfitto e del reo e del carnefice, fosse la chiave per fare morire la morte, per vivere davvero per sempre?

Aldo Capitini prefigurava - da persuaso religioso - la Realtà Liberata. Non un Paradiso in terra ma una omnicrazia in fieri nella quale tutti generano significato, il trascendimento pratico verso il meglio di ogni liberalismo e socialismo. Una politica dell'aggiunta arricchente, senza vendetta. Oggi, purtroppo, ancora moriamo e l'imperfezione della realtà di tutti deve spronarci all'azione, all'impegno, alla battaglia civile contro le brutture e gli automatismi del dolore e della caducità. Lo dobbiamo a chi è stato e persiste in noi, alla nostra natura che è, ne sono sempre più convinto, un destino, uno scopo. Tocca a noi realizzarlo, nessuno escluso.