La banalità di Putin. La morte come mezzo di perpetuazione burocratica del potere
Diritto e libertà
La banalità del male, così come la teorizzò Hannah Arendt, ha a oggetto il livello medio – e inevitabilmente mediocre – della catena di comando: burocratizzazione dello sterminio e alienazione del burocrate (la dicotomia efficiente/inefficiente annichilisce quella bene/male) conducono allo zelo impiegatizio e “positivista” con cui si eseguono gli ordini, validi in quanto tali a prescindere dal loro contenuto; in sostanza, in corso d'opera (e sempre secondo la lettura della Arendt, che per quanto autorevolissima è comunque una delle tante) Eichmann agiva con la convinzione che non fosse suo compito approvare o disapprovare sul piano morale il genocidio, a lui spettava solo assicurarsi che il trasporto delle vittime dello stesso fosse logisticamente impeccabile.
Ma il male che animava il Führer era tutt'altro che banale e dunque banalmente piccolo-borghese e disinteressato a un giudizio di tipo morale: al contrario, era ciecamente orientato al capovolgimento stesso delle nozioni di bene e di male; il “bene”, in un'orrorifica e folle prospettiva evoluzionistica, era appunto l'accelerazione dell'evoluzione superomista dell'umanità (tramite lo sterminio dei “subumani” e la selezione eugenetica); il “male” era qualunque ostacolo al dispiegamento e alla velocizzazione di tali magnifiche sorti e progressive.
Oggi, osservando il Cremlino, assistiamo a una nuova forma di banalità del male: il burocrate è in cima alla catena di comando e la sorgente dei suoi disegni imperialistici è una volontà di potenza pressoché a-ideologica… banale, verrebbe quasi da dire – un po' di antinazismo a buon mercato, un po' di “anti-progressismo” (ma Kyiv è in mano ai nazisti o ai trans? Sono nazisti gayfriendly?), un po' di cristianismo ortodosso… questo è il goffo tentativo di ammantare con diverse e talvolta opposte vernici ideologiche un'iniziativa bellica appunto a-ideologica o “pauci-ideologica”, perché “ideologia”, nel senso ancora una volta arenditano del termine, è “logica di un'idea”, ed era una logica così ferrea – quella dei sistemi ideologici novecenteschi – da poter perfino negare la realtà delle cose senza perciò apparire ridicola.
Certo, c'è il revanscismo e c'è l'ostilità dichiarata ai sistemi democratico-liberali, ma nel primo caso siamo di fronte qualcosa di ottocentesco, quell'Ottocento in cui le potenze imperiali giocavano a risiko sullo scacchiere internazionale in virtù della tensione al gigantismo territoriale che allora andava per la maggiore e di complementari ragioni prosaicamente materiali; nel secondo a un qualcosa di così poco strutturato e così indebolito da aporie che sarebbe inappropriato individuarvi una contro-ideologia.
La disinvoltura con cui sin da Marzo, cioè dalla presa d'atto del fallimento del blitzkrieg e del tentativo di bielorussizzazione dell'Ucraina, il Cremlino ridimensiona progressivamente le sue mire espansionistiche – verosimilmente il controllo dell'Ucraina del sud è il piano C –, in un susseguirsi di fallimenti che nel Novecento sarebbero stati bastevoli a innescare un tragico regime change, non è la manifestazione della resilienza delle politiche imperialiste di Putin, ma la proiezione sul piano politico-militare di un'ottusità e un pressapochismo da apparato burocratico del kgb.
Nei giorni scorsi su La Stampa c'era il testo del discorso che Alexey Navalny fece in occasione dell'udienza dopo l’immediato arresto al suo ritorno in Russia (vivo per miracolo dopo il tentato avvelenamento): sottolineava proprio questo aspetto, Putin è rimasto un burocrate, spietato e feroce, certo, ma pur sempre un burocrate che uccide e massacra perseguendo solo ed esclusivamente la perpetuazione di sé stesso al potere.