escher grande

Siccome sono tardo, l’ho capito tardi. Solo ieri. Solo dopo due anni di fegato ammalorato nell’assistere con rabbiosa incredulità all’indifferenza con cui si è generalmente sopportata la diuturna, incessante e sempre più grave violazione dei diritti elementari dei cittadini in nome delle esigenze di salute pubblica.

Ma è una dilazione di cui mi compiaccio, perché mi permette di fare ordine nelle idee confuse da quella burrascosa mancanza di comprendonio: come in un mattino di blu, sulla spiaggia violentata dalle raffiche bagnate della notte, soccorrere gli ombrelloni sradicati restituendoli al loro elenco puntuto contro il cielo rasserenato.

E dunque. Mentre, vigilato dagli occhi fermi di Frida, ammantavo di svenevoli foglie di guanciale il fusto florido di una gallina faraona, e giusto prima di ricoverarla nel forno che ce l’avrebbe restituita lucida e bruna ed esalante i fiati delle frutta e delle spezie di dentro, ecco il miracolo: lo zuccone, infine, aveva capito. E poiché mi piace aprirmi al giudizio altrui e lasciare che i miei limiti siano investigati, non temevo di dichiararmi in faccia ai miei interlocutori, cioè a dire Frida e la gallina faraona: “Ma guarda tu che deficiente”, ho detto a noi tre.

Ciò che si illuminava davanti ai miei occhi tonti, e che chissà da quanto era invece chiarissimo così a Frida come alla gallina faraona, era che la gratuita violazione dei diritti e delle libertà di cui andavo lamentandomi (e per gratuita intendo non funzionale proprio a nessun risultato di pubblica o individuale utilità), in realtà non esisteva per la generalità di quelli che infatti la sopportavano impassibilmente.

La favola a cui avevo creduto, e che mi faceva imbestialire per quanto infine mi costringessi ad accettarla, era quest’altra: e cioè che sì, potrà anche trattarsi di compressioni persino nel profondo delle nostre libertà, dei nostri diritti, ma non è gratuita perché è necessaria, ed è necessaria perché è rivolta alla tutela di beni superiori, soverchianti in esigenza di cura le altre cose cui teniamo, eccome; le cose che non trascuriamo, figurarsi; le cose delle quali non ci dimentichiamo, giammai: ma che tutte ora occorre sacrificare. Una favola, appunto: e tanto più suadente perché partiva dalla buona intenzione e si sviluppava verso il buon fine.

Salvo il dettaglio, come ben sanno Frida e la gallina faraona, che la realtà è diversa: e cioè che la sospensione di quei diritti e di quelle libertà non è “giustificata” in quel modo (“Eh sì, purtroppo è così: ma bisogna”), bensì, alternativamente, negata o svilita al rango di una cosa che non importa. Tutti noi avevamo letto quel giornale democratico sul quale si spiegava che rimaneva tutto al suo bel posto costituzionale perché (testuale) “Niente ha intaccato la libertà di parola e di pensiero degli italiani”: l’avevamo letto tutti, ma evidentemente solo Frida e la gallina faraona avevano pensato che qualcosa non filava per il verso giusto se gli italiani dovevano sentirsi soddisfatti e rassicurati per il fatto di avere ancora il diritto di pensare. Era quello, l’andazzo: e continua. E se continua non è perché perdurano le esigenze di contenimento di quei diritti e di quelle libertà, ma perché si rinnega che gli uni e le altre siano stati contenuti in modo appena rilevante. Il canone non è: ”E’ un sacrificio grave, ma ci tocca”. E’ piuttosto: “Non è un sacrificio di nulla, o in ogni caso non è grave”.

C’era il rischio, a quel punto, che Frida e la gallina faraona mi rinfacciassero il dubbio che aver fatto la scopertona non fosse poi tanto rasserenante, giacché - come diceva un altro matto - la libertà non è veramente pregiudicata quando in pochi la impediscono a molti con la forza, ma quando in molti e senza sforzo vi rinunziano. E davanti a quel rischio mi son rifatto padrone, ho messo la gallina faraona nel forno e Frida al guinzaglio, felici io e lei nell’esercizio del diritto di passeggiare oltre i duecento metri da casa.