Che gli uomini si mettano la gonna non è un contributo alla causa femminista
Diritto e libertà
Non mettiamo in discussione le buone intenzioni dei maschi che si vestono da femmine per denunciare la «sessualizzazione del corpo femminile» e la «mascolinità tossica» e per affermare l’esigenza di «di non essere definiti dai vestiti che si indossano».
Non le mettiamo in discussione, perché non ne discutiamo il contenuto, appunto, ma ci limitiamo a prendere atto della loro buona e apprezzabile volontà. Capiamo anche che lo “scandalo” dei maschi con la gonna possa essere (ancora) utile a individui oppressi e/o a minoranze discriminate in vaste aree dell'Italia "servilis provincia", ribaltando convenzioni e conformismi in modo eclatante e soprattutto "notiziabile". C’è qualcuno che si veste da donna per quanti non possono vestirsi da donna o sono costretti a farlo a proprio rischio e pericolo. Bravi.
Quello che non capiamo e che riteniamo andrebbe messo in discussione è perché questa manifestazione di impegno anti-discriminatorio possa giovare all'emancipazione femminile o migliorare in qualche modo il trattamento ingiusto che subiscono le donne in diversi ambiti sociali. Se ci si vuole impegnare in battaglie culturali, è bene coglierne l’effettivo contenuto e il contesto. Allora proviamo a ristabilire qualche punto fermo.
1. Il sessismo misogino, che piaccia o no, non è una prerogativa dei maschi etero cis bianchi "in cravatta". Niente affatto. Il fatto di non essere orientati sessualmente verso le femmine, o di essere oppressi a propria volta per qualunque motivo sessuale, non infrange il pregiudizio nei loro confronti: che le femmine belle e svampite siano simpatiche, mentre quelle bruttine, in età avanzata, che alzano la voce in modo stridulo - peggio ancora se rivendicando il ruolo di madri - invece no, è fatto condiviso da una platea ben ampia e variegata di maschi (e talvolta anche di femmine, a dirla tutta: ma questo è pure un altro discorso). Il fatto che l'uomo che disprezza la donna sia magari vestito e depilato meglio di lei, che sappia esibire il proprio sconforto e le proprie debolezze come da manuale, quale compensazione offre alla donna ingiustamente offesa? In cosa la aiuta?
2. Basta una veloce rilettura dei programmi di storia e letteratura delle medie per sapere che l'Europa ha visto per secoli e secoli uomini che piangevano pubblicamente strappandosi i capelli, per diletto o per rito, cospargendosi il capo di cenere e invocando gli dei: questo non di rado era il segno della loro virilità, mentre continuavano a commerciare in schiave dal valore di dodici buoi, e a riservare alle mogli il talamo e il fuso. D'altro canto non di rado nella vita reale vediamo uomini piangere e ciò non toglie nulla al loro fascino né, in caso, alla loro "mascolinità tossica". Quindi, piantiamola con questa fregnaccia, per amor del cielo, se l’intenzione vuole essere “femminista”.
Per secoli e secoli i calzoni sono stati prerogativa di pochi barbari, per secoli gli uomini si sono truccati, e sempre, sempre, i membri del "secondo sesso", le femmine, sono state sottomesse e in balìa della forza dei maschi piangenti, in gonna e imbellettati.
Possiamo trovare, di grazia, una maniera meno stupida di parlare dell'argomento o di imporre una priorità femminista? Potremmo parlare di rispetto della libertà, della dignità e della persona umana, per esempio, piuttosto che di "lotta agli stereotipi", visto, che si sa, morto uno stereotipo, se ne fa un altro e il femminismo è in primo luogo una lotta per l’affermazione di diritti individuali delle donne e non di immagini sociali del “femminile”? Possiamo parlare di corpi, di maternità, di opportunità e di politiche pubbliche e non di gonne e di belletti?