seid saman grande

Saman e Said sono ragazzi e hanno in qualche modo lottato contro un nemico preciso, un avversario del nuovo, della gioventù: l’identità vissuta come fonte di esclusione e ghetto, come barriera di incomunicabile distanza.

Papa Francesco, nell’enciclica Fratelli Tutti, ha criticato la categoria di identità, spalancandola su un’ appartenenza comune più alta, giungendo alla comune paternità celeste per riscoprire la fratellanza universale fondata sugli uguali diritti innati della Persona. Lo sguardo negativo che fa male, il crimine d’odio contro il colore del “diverso”, è stigma che “arma” l’uno contro l’altro e che può giungere all’istigazione della violenza, all’annichilimento.

La famiglia e la tradizione, come culto di un originario immodificabile, come valore e coazione al “rispetto” che trascende il singolo (sottomettendolo), è pure un’arma che costringe, che “legittima” e giustifica la sanzione più grave: la morte come espiazione di una colpa non redimibile.

Se l’Occidente, se l’Europa ha un senso spirituale proprio è questo: l’ethos che prevale sull’ethnos, i diritti universali di libertà, autodeterminazione e giustizia che prevalgono sulle ragioni identitarie, sul bagaglio di senso e “ragione” ereditato dai padri, dalla Società d’appartenenza.

Secondo Agnes Heller, la filosofa liberale e post-moderna della ritrovata libertà ungherese dopo il Novecento dei totalitarismi, è la “contingenza” la categoria propria della modernità. Nessuno nasce con un destino già scritto, non c’è gilda o casta che possa determinare sin dal suo sorgere la vita dell’individuo, e se ciò accade va contrastato! In questa insicurezza rivendicata, in questa vera e propria “nudità liberale”, ciascuno di noi ha il diritto di completare da sé l’indirizzo di destinazione della propria esistenza, senza paracadute e senza costrizione.

È ovvio, quindi, come l’identitarismo escludente si presenti, al contrario, come rete di sicurezza “premoderna” – retaggio - come pronta soluzione agli enigmi esistenziali di tanti giovani, immigrati o meno; facile identificazione del nemico, di un “diverso” da identificare come causa dei problemi sociali e perturbatore di usi e costumi fondati sulla Storia, sull’abitudine di una ripetizione automatica, dovuta, necessaria. È la banalità del male!

Questo paracadute di sicurezze imposte dal complesso valoriale di potere che opprime le scelte, può giungere agli estremi cui sono stati condotti Saman e Said: può riportarci repentinamente tutti – occorre precisarlo – ad una deriva che è un paradossale ritorno al passato, in cui le distinzioni qualitative, i bisogni diversi legati a razza o appartenenza, mettono in discussione, dall’interno, le migliori acquisizioni moderne.

Non deve farci stupire che ciò accada con i nostri figli adottati o con i figli dei lavoratori stranieri che frequentano le nostre Scuole, perché la degenerazione identitaria vive all’interno del cuore d’Europa, coinvolge anche noi: si apparenta all’esclusione e alla ghettizzazione sociale (magari auto imposta) generata dai problemi di integrazione dello straniero.

Il Continente dei Codici, dello Stato di Diritto, del culto della Persona, ha già conosciuto nel passato stagioni di pericoloso perturbamento, di messa in discussione radicale dei propri approdi liberali. E senza tornare ai drammi del Primo Novecento, è necessario però ricordare oggi le derive autoritarie di Polonia e Ungheria (ma anche dell’Italia del Ministro Salvini alle prese con le invasioni via mare), il respingimento culturale di ogni contaminazione con l’altro, vissuta come insulto e attacco ai valori tradizionali, ad un’essenza e purezza interpretata come opposizione e distinguo assoluto.

Se questa narrazione, se gli atteggiamenti escludenti, se il “Diritto delle quattro mura, della casa, della famiglia”, se le politiche identitariste, se il “Prima Noi” (nel senso dei muri, del filo spinato e dei simboli religiosi utilizzati come fonte di separazione) sono così bene rappresentati non solo in Società ma anche nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali, ciò significa che la violenza autoctona si sta congiungendo mortalmente – in una dialettica estremista di contrapposizione feroce - con il peggio del retaggio tradizionalista delle culture africane o orientali.

Che differenza c’è, infatti, tra chi pratica clandestinamente una religione d’odio contro ebrei o cristiani, e chi si oppone - storpiando il Vangelo di Cristo - alle libertà religiose altrui, all’edificazione, ad esempio, di Moschee o luoghi di culto “diversi”, cercando di pervertire la legislazione laica e generando nuove forme di discriminazione? Saman e Said sono ragazzi e il loro futuro negato è il nostro futuro negato e, proprio per questo, questo futuro va continuamente affermato! È come un fiume carsico, la risorgenza possibile della Nonviolenza come Tradizione di libertà e amore: ne va della nostra sopravvivenza come comunità civile!