Draghi e quote rosa. Il gender gap e la parità competitiva tra uomini e donne
Diritto e libertà
Il Presidente del Consiglio Draghi nel suo discorso al Senato sulla fiducia al Governo ha toccato, tra i vari punti, anche quello della questione di genere, affermando che "una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi". Condivido pienamente queste parole, il vero obiettivo deve essere la creazione di condizioni economiche, sociali e culturali che garantiscano le pari opportunità.
La Conferenza sulle donne delle Nazioni Unite svoltasi a Pechino nel 1995 ha posto l’accento sul tema del gender gap ed ha introdotto i principi di empowerment e mainstreaming (integrazione sistematica delle situazioni, delle priorità e dei bisogni rispettivi delle donne e degli uomini in tutte le politiche, misure, interventi, allo scopo di mobilitare e sensibilizzare tutte le politiche di ordine generale, affinché si raggiunga la parità tenendo conto degli effetti all'atto della loro pianificazione e attuazione), affermando come valore universale il principio delle pari opportunità tra i generi e della non discriminazione delle donne in ogni settore della vita, pubblica e privata.
La piattaforma individua 12 aree che vengono viste come ostacoli al miglioramento della condizione delle donne: 1. donne e povertà; 2. istruzione e formazione delle donne, 3. donne e salute: 4. violenza contro le donne; 5. donne e conflitti armati; 6. donne ed economia; 7. donne, potere e processi decisionali; 8. meccanismi istituzionali per favorire il progresso delle donne; 9. diritti fondamentali delle donne; 10 donne e media; 11. donne e ambiente; 12. bambine.
Il dibattito pubblico sulla questione delle politiche di genere a mio avviso verte ancora troppo sulle quote rosa.
In Italia la legge 120/2011, detta legge Golfo-Mosca dai nomi delle prime firmatarie, impone, a partire da agosto 2012, il rispetto di una quota di genere nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società italiane quotate in Borsa. L’obbligo si è poi esteso anche alle società a controllo pubblico. Si tratta di una misura temporanea: le quote sono obbligatorie solo per tre mandati, con una quota fissata al 20% per il primo rinnovo e al 33% per i successivi due. Grazie alla legge Golfo-Mosca, l’Italia è passata dal 6% di presenza femminile nei Cda delle società quotate a circa l’attuale 27% (superiore ai limiti minimi imposti dalla legge), arrivando ad essere al quinto posto in Europa.
Le uniche evidenze sull’impatto delle quote gli effetti dell’introduzione delle quote nei Cda riguardano la Norvegia ed evidenziano che gli impatti sulla performance aziendale e sul mercato possono essere addirittura negativi.
Per quanto riguarda invece la rappresentanza politica non sono molti i paesi che hanno introdotto le quote di genere nella legislazione nazionale, sono numerosi invece i paesi europei in cui i partiti hanno adottato un regolamento interno sulla parità di genere. Le quote sono fissate per legge in Francia, Portogallo, Belgio, Spagna, Polonia, Lussemburgo, Grecia, Irlanda e Slovenia. La percentuale delle quote varia da Paese e Paese e dipende dalla legge elettorale. In Svezia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Germania le quote di genere sono adottate dai partiti, e non sono stabilite per legge. In Danimarca, Finlandia, Lituania, Bulgaria, Estonia e Liechtenstein non esiste nessuna forma di regolamento per favorire la presenza femminile nelle liste elettorali e in parlamento. In Italia attualmente la legge elettorale prevede che ciascuna lista non possa essere composta da più del 60% di uomini o di donne.
Ma ha davvero senso parlare di quote rosa?
Il vero discrimine non è essere a favore o contro. Io personalmente sono contraria, ma questo non significa negare e non vedere il vero problema che ha portato alla creazione dello "strumento quote" ossia il gender gap, con particolare riferimento all'occupazione.
Nel 2020 secondo il rapporto dello European Institute for Gender Equality (Eige) l’occupazione femminile in Italia risulta essere la peggiore in tutta Europa: solo il 31,3% delle donne ha un lavoro a tempo indeterminato, contro la media europea del 41,5%. Lo stipendio medio femminile resta uno dei più bassi d’Europa ed è di un quinto inferiore rispetto a quello degli uomini. Se la legge sulla parità di trattamento ha introdotto già nel 1971 lo stesso salario per la medesima mansione a prescindere che la svolga un uomo o una donna, la disparità si spiega con la qualità degli impieghi in cui sono maggiormente coinvolte le donne, in media più precari, meno tutelati e sempre più interessati dal ricorso al part time involontario, cioè a un part time imposto dal datore di lavoro, come confermano i dati Istat.
Occorrono politiche di work - life balance che consentano alle donne di non essere costrette a scegliere tra carriera e famiglia, come ad esempio il congedo di paternità, e politiche attive del lavoro che non discriminino sulla base del genere. È necessario superare una serie di stereotipi diffusi, i gender bias che portano alla valutazione della donna con parametri diversi e generano il difficile confine tra l'essere viste con atteggiamenti troppo maschili quando la donna nelle aspettative deve essere simpatica e gentile oppure troppo femminili e quindi non all''altezza. Si tratta di un lavoro di diffusione di una nuova cultura, nell'ambiente lavorativo e non solo.
Occorre puntare sul processo culturale di empowerment delle donne superando anche l'altra faccia della medaglia che il bias porta con sé, che riguarda in primis la consapevolezza e l’autostima. Una donna consapevole delle sue potenzialità e delle sue capacità aspira, legittimamente, al riconoscimento delle stesse e vuole dare un proprio contributo nella gestione della cosa pubblica. Ed è per questo che decide di farsi avanti e di partecipare attivamente alla vita politica. Pari opportunità significa potersi trovare nelle condizioni di farlo. E di essere eletta per ciò che vale non per il fatto di essere donna.
Le quote rosa non agiscono sulle cause, ma sui sintomi. Come giustamente afferma Draghi bisogna lavorare per garantire la parità di condizioni competitive tra i generi.