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Mentre la pandemia da coronavirus non accenna a diminuire mietendo vittime non solo tra persone anziane e debilitate ma anche tra i più giovani, l’opera di disinformazione del Cremlino sul Covid-19, veicolata dai media a esso collegati, fa segnare un incremento di natura quantitativa e qualitativa che è opportuno analizzare perché foriera di gravi conseguenze a livello politico e geopolitico.

In questo preciso momento, così come avvenuto nel recente passato nelle fasi cruciali della guerra in Donbas e in Siria, la produzione e diffusione di fake news da parte della Federazione Russa è finalizzata alla creazione di una vasta campagna disinformativa il cui obiettivo è disgregare l’Europa attraverso una guerra ibrida che, oltre alla disinformazione, si avvale anche di altri strumenti.
L’analisi delle narrative diffuse dagli outlet filo-Cremlino sul tema del Covid-19 nelle ultime settimane è coerente con l’implementazione di una strategia del caos che utilizza metodi asimmetrici.
Prima di passare in rassegna le principali fake news e analizzare in che modo risultino funzionali alla creazione del caos in particolare nei Paesi più colpiti dalla pandemia come l’Italia – caos che può essere sfruttato per esempio per dare inizio a operazioni di intelligence e di propaganda camuffate da interventi di sostegno sanitario e/o umanitario – è fondamentale approfondire il concetto di guerra ibrida e fornire una panoramica politico-economica della Russia attuale.

Il modello russo di guerra ibrida
Per comprendere il concetto di guerra ibrida (hybrid warfare), dobbiamo aprire una parentesi storica, perché se è vero che in Occidente, come scrive Emanuela C. Holgersson nel research paper Sulle tracce del modello russo di guerra ibrida: dall’epoca sovietica al political warfare contemporaneo in Ucraina, “la presa di coscienza di un modello di guerra ibrida russa si può far risalire al momento in cui nel 2014 l’ex generale olandese, consigliere della NATO e senatore Frank van Kappen utilizza pubblicamente il termine guerra ibrida legandolo ai fatti tra Russia e Ucraina”, in ambito strategico-militare l’idea di un conflitto non lineare non è nuova. Semmai è nuovo il modo in cui, in tempi recenti, Mosca ha fatto propria questa modalità bellica.
A detta della Holgersson i fallimenti militari russi dei primi anni Novanta, in particolare in Cecenia, avrebbero spinto Mosca a “giungere alla dottrina odierna, superando l’architettura militare teorica e pratica della guerra fredda, adattandosi alle nuove espressioni del mondo e alla realtà globalizzata”.
La riscoperta delle potenzialità del conflitto non lineare, in seguito teorizzate nella dottrina Gerasimov, avviene a partire da metà degli anni Novanta grazie al generale Makhmut Akhmetovich Gareev, veterano della Seconda Guerra mondiale e del conflitto in Afghanistan.
Gareev, scomparso nel dicembre 2019, pubblica nel 1995 un saggio, If War Comes Tomorrow?: The Contours of Future Armed Conflict , che getta le basi di quello che oggi viene definito political warfare, o guerra ibrida.
In questo testo, il generale Gareev “elabora una visione strategica più ampia che sposta l’attenzione dall’approccio difensivo al progresso tecnologico, una teoria di ampia concezione identificabile come information warfare”. “L’information warfare consta di information weapons di vario tipo e soprattutto di una applicazione prettamente strategica, differente dal segmento strettamente operativo del cyberwarfare inteso alla maniera occidentale” (Holgersson).
Per capire la differenza tra la guerra informativa nell’accezione più ampia e strategica teorizzata da Gareev e quella operativa tipica dell’Occidente è opportuno sottolineare come fa Domenico Frascà, collaboratore del Center for Cyber Security and International Relations Studies (CCSIRS), che “nella visione russa, la guerra dell’informazione è una forma di potere politico e uno strumento geopolitico che consente un alto livello di manipolazione e d’influenza”.
In altri termini la guerra informativa russa è un’attività sempre in corso, di natura olistica, onnicomprensiva e dall’applicazione sorprendentemente ampia. Consta non solo di attacchi cibernetici e di attività di penetrazione informatica, ma anche di operazioni psicologiche, disinformazione, influenza strategica, guerra elettronica e per certi aspetti anche di attività di intelligence e counterintelligence.
Le armi informative, è fondamentale ribadirlo, non vengono utilizzate solo nello spazio cyber, ma in molti più domini, tra cui quello cruciale del dominio cognitivo umano.
Questa concezione olistica dell’information warfare che Gareev, già nel 1995, considerava alla base dei conflitti futuri e che, a detta del generale sovietico, avrebbe permesso ad attori relativamente deboli come la Russia di affrancarsi da una posizione difensiva convenzionale, è stata ripresa in tempi recenti da Valery Gerasimov, Capo di Stato Maggiore delle forze armate russe, nella teoria che porta il suo nome.
Partendo dalla definizione di guerra ibrida (o guerra non lineare) come forma di guerra che ai tradizionali strumenti bellici (aviazione, esercito, marina, etc) affianca strumenti non militari (attacchi cibernetici, disinformazione, etc), Gerasimov sottolinea come «il ruolo degli strumenti non-militari nel conseguimento di obiettivi strategici politici e militari è cresciuto e, in molti casi, questi strumenti hanno superato il potere delle armi in quanto ad efficacia».
Timothy Snyder nel saggio La Paura e la Ragione. Il collasso della democrazia in Russia, Europa e America scrive che la prima applicazione su vasta scala della guerra ibrida “alla Gerasimov” è stata l’invasione dell’Ucraina nel 2014.
Oltre a sottolineare come l’invasione dell’Ucraina sia stata contemporaneamente una guerra regolare, una campagna partigiana per indurre i cittadini ucraini a combattere contro il proprio esercito e la più vasta ciberoffensiva della storia, Snyder fa una considerazione che rende ragione dello scarso clamore suscitato da questo conflitto a livello internazionale.
Il problema di usare espressioni in cui il sostantivo «guerra» è qualificato da un aggettivo come «ibrida» – afferma lo storico statunitense – è che suonano come «guerra meno qualcosa», mentre il loro reale significato è «guerra più qualcosa».
La guerra ibrida è dunque molto più pericolosa della guerra convenzionale ma le società occidentali e gran parte del mondo politico non l’hanno ancora capito.

La scommessa di Putin
Al fine di comprendere il contesto geopolitico in cui si colloca la teoria del caos portata avanti dal Cremlino è fondamentale passare in rassegna uno studio realizzato da Donald N. Jensen e Peter B. Doran per il CEPA (Center for European Policy Analysis) nel novembre 2018.
Il paper, intitolato Chaos As a Strategy. Putin’s “Promethean” Gamble, costituisce un importante contributo teorico su questo tema e fornisce anche utili raccomandazioni per reagire alla sfida messa in atto dalla Russia.
Coerentemente con quanto previsto da Gareev, la Federazione Russa sta cercando di compensare la sua debolezza impegnandosi in una strategia competitiva il cui vincitore non sarà necessariamente il più forte bensì colui che affronterà meglio il disordine.
Vediamo in cosa consiste la debolezza della Russia odierna, debolezza che il Cremlino maschera abilmente grazie a una massiccia propaganda interna ed esterna descrivendo il Paese come una superpotenza in competizione globale con Stati Uniti ed Europa.
In realtà, con una popolazione in declino, problemi sociali cronici, un sistema economico non competitivo e la persistenza di una corruzione istituzionalizzata, il regime di Putin ha quale obiettivo primario la mera sopravvivenza.
Nei primi anni della sua presidenza Putin aveva rafforzato le strutture statali per cercare di frenare ogni impulso centrifugo e usato la ricchezza derivante dalle esportazioni di risorse naturali (gas e petrolio) per aumentare il tenore di vita dei russi e al contempo garantire acquiescenza popolare al suo governo autoritario.
Ma a partire dalla seconda metà degli anni 2000 Putin ha bruciato la sua credibilità politica a livello internazionale invadendo Georgia (2008) e Ucraina (2014).
L’anno di vera e propria svolta della Russia coincide con il biennio 2011-2012. A partire dalle elezioni del 2012, la Federazione Russa, nata nel 1991 come una repubblica costituzionale, legittimata dalla democrazia, dove il presidente e il parlamento sarebbero stati scelti attraverso elezioni libere, abdica al principio di successione.
Putin spinge alle estreme conseguenze il concetto di “democrazia gestita”, al punto di non negare neppure di aver alterato le regole del gioco democratico. Le elezioni, non sono più un mezzo per esprimere la volontà dei cittadini, ma diventano solo un rituale.
Quando il 5 marzo 2012, circa venticinquemila cittadini russi protestano a Mosca contro i brogli alle elezioni presidenziali, Putin decide in uno primo tempo di associare l’opposizione democratica alla sodomia globale (il tema verrà ripreso ai tempi del Maidan di Kyiv dipingendo l’Accordo di Associazione Economica dell’Ucraina con la UE come un tentativo, da parte della Gayropa, ossia dell’Europa dei gay, di minare i valori cristiani in Ucraina), in una seconda fase afferma che i contestatori sono al servizio di una potenza straniera, ossia degli Stati Uniti, il cui diplomatico più importante è una donna: Hillary Clinton.
Ovviamente il Cremlino non produce alcuna prova, del resto il punto non è fornire prove ma inventare una storia sull’influenza straniera e usarla per cambiare la politica interna.
Putin decide di scegliersi il nemico che meglio si adatta alle sue necessità di leader, non quello che minaccia realmente il suo paese.
L’Unione Europea e gli Stati Uniti vengono dipinti dalla propaganda del Cremlino come minacce semplicemente perché le elezioni russe sono state manipolate. Con il ritorno di Putin alla presidenza nel 2012 la Russia si trasforma in uno stato fascista (nell’accezione cara a Ivan Ilyin, filosofo russo di fine Ottocento, di fascismo cristiano).
La diffamazione diventa un illecito penale, il Patriarcato Ortodosso di Mosca si allea con il Cremlino divenendo a tutti gli effetti un suo braccio armato, comincia la persecuzione delle organizzazioni non governative, si glorificano carnefici del passato come Felix Dzerzhinsky, fondatore della Cheka, cui viene intitolata una nuova unità dell’FSB, si distruggono gli archivi di Memorial, centro che aveva documentato le sofferenze dei cittadini sovietici ai tempi di Stalin.
In un articolo del 23 gennaio 2012 uscito su Nezavisimaya Gazeta qualche settimana dopo le elezioni parlamentari, Putin abolisce i confini legali della Federazione Russa e descrive la Russia non come uno Stato ma come una condizione spirituale gettando di fatto le basi per la ‘giustificazione teorica’ della guerra in Ucraina di due anni più tardi.
Il ritorno in auge dei rituali militari e dell'iconografia sovietici, la riscrittura del passato, la riabilitazione di dittatori come Stalin, la ripetizione automatica di narrazioni come “la Russia è una fortezza assediata” o “la Russia è vittima dell'Occidente” e il copioso consumo di beni materiali hanno come scopo quello di eccitare e mobilitare la società contro le forze che potrebbero minacciare lo stato dal basso.
E mentre questo sforzo può aver fornito a Putin e alle sue élite uno spazio di respiro politico, non ha risolto il loro dilemma di fondo: la debolezza del Paese.
Un mese fa, con il rublo in caduta libera e il prezzo del petrolio ai minimi storici, Putin mette in atto l’ennesimo golpe e lo fa di nuovo usando una testimonial d’epoca sovietica, Valentina Tereshkova.
I primi di marzo Tereshkova, ex cosmonauta dei tempi di Khrushchev, oggi deputata ottantatreenne del partito Russia Unita, si rivolge alla Duma chiedendo di votare un emendamento alla Costituzione che, azzerando il contatore delle presidenze, permetta a Vladimir Putin di candidarsi di nuovo al Cremlino nel 2024 e di regnare fino al 2036.

Dutch disease
Il grave problema demografico – intorno al 2050, secondo le cifre dell’ONU, la popolazione totale della Federazione sarà diminuita di ben 10 milioni assestandosi su una cifra intorno a 135 milioni (su un territorio pari a un ottavo delle terre abitate mondiali), contro il miliardo e sette di India e il miliardo e quattro della Cina – sembra condannare la Russia a un ruolo marginale negli scenari geopolitici futuri.
È illusorio pensare che, a fronte di un calo demografico così consistente che avrà ripercussioni evidenti anche sulla forza lavoro (circostanza evidenziata anche da Anatoly Vishnevsky, direttore dell'Istituto di demografia di Mosca presso la Scuola superiore di Economia, in un’intervista a Radio Free Europe nel 2017), con un settore energetico arretrato e prezzi decrescenti, petrolio e gas possano, come negli Anni Settanta, garantire la sopravvivenza della Russia.
La decadenza della Russia è originata proprio dalla “maledizione delle risorse” o male olandese.
Il termine, coniato nel 1977 dall’Economist per rappresentare il declino del settore manifatturiero nei Paesi Bassi dopo la scoperta di un ampio bacino di gas naturale a Slochteren nel 1959, ben si adatta a descrivere la situazione della Russia odierna, in cui la ricchezza energetica ha finito per minarne costantemente la competitività economica nel lungo periodo.
I petrol rubli possono aver arricchito le élite e riempito gli scaffali dei negozi con beni di lussi importati, ma queste trappole della ricchezza hanno avuto un costo: il prolungato declino del settore manifatturiero e dei settori di esportazione non energetici.
Al fine di mantenere inalterato il sistema che dirige la ricchezza nazionale verso le élite, le strutture di sicurezza politica e nazionale della Russia hanno sviluppato una sensibilità particolare verso qualsiasi tendenza o evento che potrebbe rovesciare il regime.
La rivoluzione arancione in Ucraina del 2004 e ancor più quella della Dignità del 2013-14 sono state interpretate dalla Russia non come autentici atti di malcontento popolare contro regimi autoritari, ma come eventi politici fabbricati da lontano. Un ritornello comune tra le élite russe è che tali rivoluzioni siano stati “istigate” dall'Occidente (UE, Stati Uniti) al fine di accerchiare la Russia e, in definitiva, rovesciare lo stesso regime di Putin.
Quando il 28 settembre 2015 Putin pronuncia il suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, in cui attacca gli Stati Uniti accusandoli di non aver mai abbandonato la loro politica basata su arroganza, eccezionalità e impunità, il Cremlino, nel disperato tentativo di tenere in piedi un regime al collasso, ha già occupato la Crimea e da più di un anno conduce una guerra per procura in Donbas.
L’intervento militare in Ucraina orientale dimostra come, nonostante le relative debolezze del Paese, i leader russi si considerino attori di prima grandezza in una competizione internazionale con Stati Uniti ed Europa.
Sebbene l’ostentazione di forza russa nasca dalla necessità di compensare il declino interno e, per questo motivo, al fine di bilanciare la sua relativa debolezza, il Cremlino è sempre più disposto a correre rischi a volte incautamente, sarebbe profondamente pericoloso se l’Occidente sottovalutasse le azioni messe in atto da Mosca attraverso disinformazione, sovversione sociale e operazioni di “guerra politica”.

Strategia del caos e “prometeanismo” russo
Definita l’arena politica e geopolitica all’interno della quale il Cremlino gioca la sua partita, occupiamoci ora del concetto di caos.
Nel regno delle scienze fisiche, i sistemi caotici possiedono un numero quasi infinito di componenti. Quando questi componenti interagiscono, producono comportamenti apparentemente imprevedibili o altamente complessi. Il tempo, i mercati azionari e persino la dispersione del latte in una tazza di caffè sono tutti esempi di “sistemi dinamici non lineari” in azione. Mentre gli esseri umani tendono a pensare che questi sistemi siano caotici in realtà nel disordine c’è un ordine sottostante. Esiste, per così dire, una struttura organizzativa per la casualità.
Anche in ambito militare il caos ha un pedigree ben consolidato. Pratici e teorici della scienza militare hanno a lungo sostenuto strategie fondate sull’utilizzo del caos.
Nel corso della storia le grandi potenze hanno continuamente cercato di seminare instabilità negli stati vicini, sovente attraverso l'uso di quella che oggi chiamiamo guerra dell'informazione, per migliorare la propria sicurezza.
Ma in generale la strategia del caos è appannaggio delle potenze più deboli, ossia di quelle che possiedono meno opzioni strategiche perché hanno minori risorse rispetto alle superpotenze.
Tale strategia promette infatti di compensare l'inferiorità strategica di un attore debole. Nella storia russa, in particolare, esiste una tradizione dello stato che alimenta il caos all'estrema frontiera per mantenere divisi i rivali e farli litigare internamente, in modo che non siano in grado di unire le forze contro Mosca.
Poiché l'impegno diretto delle forze russe contro i moderni sistemi militari statunitensi si rivelerebbe estremamente costoso e probabilmente inefficace, la Russia preferisce manipolare lo scenario a suo vantaggio cercando di impedire l’ingresso nel conflitto della forza militare statunitense.
Per quanto simili, non tutte le strategie del caos sono uguali. Quella adottata oggi dalla Russia è una sorta di rivisitazione della strategia messa in atto nella prima metà del Novecento dalla Polonia di Józef Piłsudski.
Fu ribattezzata strategia di Prometeo, in omaggio all'eroe mitologico greco che respinse l'autorità del più potente Zeus.
Nel caso di Piłsudski, la strategia polacca era far leva sulle vulnerabilità della Russia creando divisioni e conflitti sul suo territorio sfruttando il problema delle nazionalità, ossia sostenendo movimenti di indipendenza potenzialmente distruttivi.
Nel contesto attuale il prometeanesimo può essere definito come l'applicazione calcolata di metodi non lineari (ad esempio l'uso di disinformazione, sovversione, etc.) per indebolire un avversario con la creazione di divisioni interne e l'isolamento esterno in politica estera.
Gerasimov, nella sua dottrina, ha aggiornato il prometeanesimo fondendo la strategia del caos con gli obiettivi strategici della Russia attuale.
Il moderno concetto di caos è il risultato della fusione operata da Gerasimov che ha ripreso le tattiche sviluppate dai sovietici, le ha mescolate con il pensiero militare strategico sulla guerra totale e ha presentato una nuova teoria che è più simile ad hackerare una società nemica piuttosto che ad attaccarla frontalmente.

La confusione è il messaggio
Prima di occuparci delle narrative di disinformazione e di propaganda degli outlet pro-Cremlino è opportuno chiarire il rapporto tra disinformazione e propaganda.
La disinformazione è la falsificazione intenzionale di dati e notizie al fine di manipolare le percezioni di un bersaglio, influenzarne le decisioni, e indurlo ad agire nel modo desiderato dal disinformatore.
La propaganda è un concetto di più ampio respiro che include qualsiasi azione comunicativa che mira a influire sulle opinioni, gli atteggiamenti, le emozioni, e i comportamenti di uno o più settori della società per trarne un beneficio.
Una campagna propagandistica può avvalersi della disinformazione oppure può diffondere esclusivamente notizie vere, ma selezionate e interpretate in maniera tale da favorire determinati interessi.
Facendo una ricerca con la keyword coronavirus nel database del sito Eu vs Disinformation in data 17 aprile 2020 troviamo ben 325 casi di disinformazione.
Ciò che emerge è un chiaro obiettivo di fondo: diffondere un numero elevato di messaggi, spesso in contrasto tra loro, per generare confusione e disorientare i fruitori al fine di creare fratture all’interno delle società.
Per esempio in un portale filo-Cremlino leggiamo che il coronavirus è meno dannoso dell'influenza stagionale, in un altro che il Covid-19 metterà fine alla nostra civiltà e poi ancora che il virus è una potente arma biologica, impiegata dagli Stati Uniti, dagli inglesi o dall'opposizione in Bielorussia.
Già dai tempi dell’URSS una delle regole chiave di una campagna di disinformazione era individuare fratture o possibili punti di frizione all’interno di una democrazia.
Le fratture vengono enfatizzate al fine di produrre un senso di sfiducia nella gente. In questo momento l’argomento divisivo più utilizzato dai media vicini e/o legati al Cremlino per disgregare gli stati membri e in particolare l’Italia, che uno è dei Paesi più duramente colpiti dalla pandemia, è la presunta inefficienza e negligenza dell’Europa.
I casi in cui si dipinge una Unione Europea incapace di gestire la crisi e in procinto di disintegrarsi, proprio come lo spazio Schengen di libera circolazione, rappresentano una percentuale consistente della banca dati.
Ecco alcuni esempi di disinformazione apparsi su media pro-Cremlino che gettano discredito sull’Europa:
L'Unione Europea è morta, ha abbandonato l'Italia, solo Russia, Cina e Cuba hanno dato una mano
Le affermazioni dell'Unione Europea su una campagna di disinformazione russa sul coronavirus sono russofobia
A seguito della pandemia da coronavirus si sta avvicinando la fine dell'Unione Europea
A differenza dell'Unione Europea, la Russia ha fornito all'Italia un aiuto concreto
L'Unione Europea si è rifiutata di aiutare l'Italia ad affrontare il coronavirus
A causa del coronavirus, l'Italia è sull'orlo del default, molti stati europei probabilmente cesseranno di esistere
Le misure di risposta al coronavirus dimostrano il declino degli Stati Uniti e dell'Unione Europea
La lettura disinformativa incentrata sul fallimento e la mancanza di solidarietà dell’UE, come si evince dal caso riguardante il quotidiano italiano “La Stampa” accusato di diffondere false notizie russofobe sugli aiuti russi in Italia, è aumentata dopo l’operazione “Dalla Russia con amore”.

Dalla Russia con amore
Sabato 21 marzo il premier Conte e il presidente russo Vladimir Putin hanno una lunga conversazione telefonica nel corso della quale il capo del Cremlino dichiara di voler aiutare il nostro Paese nella lotta al covid-19.
Ventiquattro ore più tardi, all’aeroporto militare di Pratica di Mare, atterrano nove aerei Ilyushin con forniture russe e 100 specialisti nella guerra batteriologica.
Gli uomini vengono definiti dalle agenzie russe esperti nel settore che hanno lavorato nell’eliminazione dei focolai di peste suina africana, antrace, nei vaccini contro Ebola e contro la peste.
Il giorno dopo l’avvio della missione, lunedì 23 marzo – scriveranno Nicola Biondo e Mario Lavia nel pezzo La vera storia dello sbarco dei russi in Italia e della gaffe di Conte pubblicato su Linkiesta il 4 aprile – è il momento della propaganda.
“Dai suoi canali tv e social Mosca inonda il sistema informativo di immagini molto forti: mezzi militari russi, con annessa bandiera, sulle autostrade italiane e ufficiali di Mosca in briefing con soldati italiani chinati su una cartina dell’Italia. La comunicazione ufficiale di Palazzo Chigi però non appare”.
Anche Sputnik Italia, il principale outlet russo del nostro Paese, inizia a pubblicare una lunga serie di articoli proprio su questa operazione.
Dal 21 marzo, giorno in cui viene pubblicato il primo articolo dove si parla della telefonata tra Putin e Conte al 24 marzo, giorno che precedente l’uscita del pezzo su la Stampa che susciterà un violento attacco mediatico nei confronti del suo autore, Sputnik pubblica ben 14 pezzi dai toni propagandistici.
In uno di questi intitolato “Per senatore russo Polonia non ha lasciato passare gli aerei russi verso Italia, Polonia smentisce” , si sostiene che Varsavia avrebbe chiuso lo spazio aereo agli aiuti russi destinati all’Italia.
StopFake Italia, nel suo debunking, spiega come il tweet di Alexey Pushkov, un membro del Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, che conteneva questo messaggio sia stato successivamente cancellato e la notizia ed il titolo di Sputnik siano stati modificati.
Ancora una volta la narrativa del Cremlino è quella della mancanza di solidarietà dell'UE e di altri paesi dell'UE con l'Italia, che è uno dei paesi che ha subito gli effetti più duri della pandemia legata al coronavirus.
A partire dal 23 marzo tornano ad essere particolarmente attive pagine Facebook quali Basta Europa – Basta Euro: Salviamo l'Italia, Italexit 3.0, stopEuropa, che veicolano gli stessi messaggi contro l’Europa.
Ma veniamo all’affaire Iacoboni.
Jacopo Iacoboni, giornalista del quotidiano La Stampa, decide di approfondire la vicenda degli aiuti russi per capire esattamente quali forniture siano state consegnate da Mosca visto che l’operazione ribattezzata dal Cremlino “Dalla Russia con amore” in omaggio a un celebre film della saga di James Bond, è avvenuta in fretta e furia dopo una telefonata tra il premier italiano e Putin.
Nell’articolo del 25 marzo, intitolato Coronavirus, la telefonata Conte-Putin agita il governo: “Più che aiuti arrivano militari russi in Italia", Iacoboni scrive che fonti politiche di alto livello hanno riferito a La Stampa che “tra quelle forniture russe l’80% è totalmente inutile, o poco utile all’Italia. Insomma, poco più che un pretesto”.

Le spedizioni russe sarebbero “attrezzature per la disinfestazione batteriologica di aree, un laboratorio da campo per la sterilizzazione e la profilassi chimico-batteriologica, e attrezzature di questo tipo”.
“A detta di queste fonti, la reale contropartita della telefonata è stata dunque tutta geopolitica e diplomatica: Putin ha visto nel Coronavirus un’opportunità per incunearsi anche fisicamente nel teatro italiano, e al premier italiano non è dispiaciuto puntellarsi, in questa difficile crisi, accettando tutto ciò pur di consolidare un’ottima relazione personale con la sponda politica di Mosca”.
Nell’articolo Iacoboni sottolinea come il centinaio di esperti mandati da Mosca siano medici militari con “gradi di generali, colonnelli, maggiori, tenenti colonnelli, impegnati in passato in terreni di operazioni militari, dalla Guinea all’Africa, in cui la guerra batteriologica ha fatto tutt’uno con operazioni dell’intelligence estera russa” e come tutta l’operazione sia coordinata non dal ministero della Sanità, bensì da quello della Difesa.
Il capo della missione, il generale maggiore Sergei Kikot, è un esperto di antrace, il colonnello Gennady Eremin è un esperto in guerra batteriologica che ha lavorato contro la febbre suina, il colonnello Viacheslav Kulish è un esperto nello sviluppo di attrezzature protettive contro agenti biologici virali e ha lavorato nei programmi contro Ebola e la peste.
Iacoboni sostiene che il cuore di questa vicenda ruoti intorno alla telefonata Conte-Putin dal momento che, dalle informazioni a sua disposizione con c’è stato alcun contatto tra i ministri degli esteri, Lavrov e Di Maio.
Il giornalista, che in precedenza aveva chiesto direttamente a Palazzo Chigi quali forniture esattamente fossero arrivate da Mosca e quanto fossero state pagate, viene reindirizzato al commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, con la spiegazione che la telefonata Conte-Putin e le forniture sono due temi diversi, nonostante un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi avesse messo in relazione espressamente le due cose.
Dal team di Arcuri, scrive Iacoboni nel suo articolo, “ci hanno detto che al momento non è prevista la pubblicazione delle forniture russe” ma che si è trattato di “un regalo di generosità di Putin all’Italia”.
L’opacità della vicenda e la reticenza del governo italiano nel fornire informazioni porta Iacoboni a concludere che il prezzo pagato per questa generosità è alto dal momento che vi sono “uomini della Difesa russa in giro liberamente sul territorio italiano, a pochi passi dalle basi Nato”.
Nel frattempo inizia il linciaggio mediatico di Iacoboni, linciaggio che assumerà i toni di vera e propria minaccia dieci giorni più tardi, dopo la pubblicazione il 1°aprile, sempre sulla Stampa, di un altro articolo scritto in collaborazione con Natalia Antelava e Cecilia Butini in cui si chiariscono i contorni di un’operazione che ha suscitato perplessità e timori.
Dal lungo reportage emergono, tra le altre cose, tre questioni chiave.
“La prima è che l’intera vicenda è stata gestita a livello personale dal premier Giuseppe Conte con Vladimir Putin, il che ha prodotto un certo disallineamento nel governo con i ministeri competenti, messi di fronte al fatto compiuto”.
Il secondo punto cruciale riguarda la figura del comandante russo dell’operazione.
“Si chiama Sergey Kikot, e ha un passato notevole ma ingombrante. Un grande esperto britannico di intelligence russa e biografie militari – che ha chiesto l’anonimato per tutelare fonti in Russia - spiega che «è difficile ottenere informazioni sul generale Kikot ma ciò non dovrebbe sorprendere in quanto è il vice del generale Kirillov, il quale è responsabile delle armi biologiche russe, e questa è una delle parti più secretive del Ministero della Difesa russo. Ho il sospetto che presto troveremo di più su di lui dai media russi, ma finora sembra che solo a Kirillov sia permesso dire qualcosa».
Il nome di Kikot figura in passato in società legate al ministero della difesa, attive nel settore della produzione e riparazione di armi e attrezzature per la protezione chimica, radioattiva e biologica, e per lo stoccaggio di materiali pericolosi di classe I e II. Che sia esperto in materia, non sembra esserci dubbio. Nel suo passato recentissimo spicca un incarico politico di primo piano, in una vicenda controversa, che fu gestita direttamente dal Cremlino: Kikot, nel febbraio 2019 a L’Aja, presentò un dossier prodotto assieme ad altri esperti russi che puntava a scagionare Bashar Assad dall’accusa di aver usato armi chimiche sui civili a Duma, e avvalorando la teoria che l’attacco sui civili fosse stato inscenato”.
Il terzo è il coinvolgimento diretto nell’operazione del GRU, il direttorato dei servizi segreti militari russi.
Basandosi sulla testimonianza di Hamish De Bretton-Gordon, ex comandante del Joint Chemical, Biological, Radiological and Nuclear Regiment e del battaglione NATO Rapid Reaction, Iacoboni, Butini e Antelava affermano che tra i militari russi inviati in Italia ci sono ufficiali del GRU.
A detta di Hamish De Bretton-Gordon gli uomini del GRU “vorranno scoprire il più possibile sulle forze italiane, stabiliranno reti di intelligence, ci sarà un'enorme quantità di attività in corso proprio ora”.
A Mosca non sfugge che la Stampa, nel redigere il suo reportage, abbia collaborato con il sito di giornalismo investigativo Coda story di Natalia Antelava, da sempre spina nel fianco della propaganda russa e autrice di importanti dossier sulle attività di intelligence e di disinformazione del Cremlino.
L’irritazione della Russia è talmente grande che Iacoboni e il suo giornale non solo vengono accusati di Russofobia, ma il portavoce del Ministro della Difesa russo Igor Konashenkov arriva addirittura a minacciare direttamente il giornalista italiano con l’eloquente frase in latino Qui fodit foveam, incidet in eam ossia (Chi scava la fossa, in essa precipita).
A questo punto il Ministro degli Esteri Di Maio e quello della Difesa Guerini sono costretti ad intervenire e in una nota congiunta scrivono che pur essendo grati per la manifestazione concreta di supporto da parte della Russia “non si può allo stesso tempo, non biasimare il tono inopportuno di certe espressioni utilizzate dal portavoce del Ministero della Difesa russo nei confronti di alcuni articoli della stampa italiana”.
Iacoboni incassa anche la solidarietà della vicepresidente della Commissione Europea Věra Jourová che nel suo tweet sottolinea come i media liberi e indipendenti siano il DNA dell'Europa e delle nostre democrazie e che le minacce contro i giornalisti siano inaccettabili.

Conclusioni
L’opacità dell’operazione “Dalla Russia con Amore” e gli attacchi alla stampa libera italiana confermano l’uso spregiudicato e cinico da parte del Cremlino della pandemia da coronavirus e sottolineano ancora una volta come l’Italia sia diventata l’anello debole dell’Europa, ossia un Paese che, per usare la tassonomia dell’European Council on Foreign Relations poi ripresa da Edward Lucas nel suo La Nuova Guerra Fredda, si è trasformato da “partner strategico” di Mosca in vero e proprio “cavallo di Troia” del Cremlino.
La mole di fake news, diffuse da outlet statali come Sputnik e Russia Today, che hanno preceduto e accompagnato l’operazione italiana con le narrative sopra ricordate, sembrerebbe testimoniare l’esistenza di una regia e di un coordinamento.
La tesi secondo la quale in Russia esista un ecosistema di troll, originato dal Cremlino, ma di cui il Cremlino ha ormai perso il controllo e che ora finirebbe per danneggiare lo stesso apparato governativo, come sostiene Mark Galeotti in un articolo uscito il 10 aprile su The Moscow Times, appare piuttosto debole per due ragioni.
La prima è che le narrative anti-EU sono state diffuse da media statali, quindi sotto lo stretto controllo del regime e non solamente da siti di marca eurasiatica. La seconda è che in Russia, Paese che si colloca 149esimo su 180 nel ranking di Reporters without Borders per libertà di stampa, i media che si discostano dalle “versioni ufficiali” dei fatti proponendo letture critiche delle politiche governative vengono osteggiati e/o silenziati.