bottiglia nave big

La propensione alla retorica, questa toppa che l’Italia malvissuta adibisce a rimedio bugiardo del proprio decoro civile sbrindellato, si manifesta in forma particolarmente detestabile nei modi di certo giornalismo. Non da oggi, è inutile precisarlo: ma oggi, nell’epopea delle quarantene, tanto più clamorosamente. Per capirsi, è il giornalismo assediato dall’urgenza di far cronaca sulle sue coraggiose fatiche durante la Grande Infezione. Il Paese è un desolato campo di guerra ma i giornalisti in trincea non disertano: e mentre gli italiani combattono eroicamente tra i vasi di pummarola e la rassegna di stracci opponendo la loro resistenza sul fronte rischioso del davanzale, quelli raccontano sé stessi nell’inesausto impegno di “fare informazione”, cioè la penosa messa in pagina (e obbliga a qualche sforzo, effettivamente) della quotidiana balordaggine strafalciona dell’avvocato del popolo impegnato a contrastare il Covid-19 nella sua mutazione micidiale in tempo di tradimento tedesco-olandese.

Per ora, quel giornalismo combattente non finisce con gli infermieri, coi medici, coi barellieri, coi virologi in vacanza ospedaliera tra un’intervista e l’altra, nel pastone dei ringraziamenti che costituisce il contributo indefettibile di ogni politico chiamato - dopo opportuno calcolo del rispettivo bacino elettorale - a dar prova delle proprie attenzioni in favore degli operatori sanitari sprovveduti di mascherina non si sa per colpa di chi, anzi no, per colpa “dell’Europa” finalmente contrappesata dal generoso intervento dell’alleato cinese. Ma manca poco, e c’è da giurare che alla fine, nel panorama delle abnegazioni italiane in epoca di solidarietà antivirale, troverà il suo posto illustre l’infaticabile lavorìo del cronista negli avamposti delle battaglie.

Nell’attesa, egli fa servizio pubblico domandando alla prozia del defunto robetta mica da ridere come “signora, che cosa prova in questo momento?”, dopo di che porta la telecamera in corsia - la Tivù verità - e registra il servizio pornodolorista sugli ultimi rantoli degli intubati. Segue intervista al primario, con foia camuffata da oscena compassione: “Dottore, oggi quanti ne sono morti?...”. Per finire con la promessa che domani ci rivediamo, perché lui non molla.
Nelle pause, rivolge il proprio talento narrativo alla perlustrazione dei luoghi tormentati della sua esistenza domestica e posta il selfie con la ramazza in mano, perché ha avuto il cuore di dispensare la colf ma tanto prima o poi tornerà ad abbracciare anche lei (è democratico). Finché gli appelli del dovere non lo distolgono da quelle meritate intimità richiamandolo sulla prima linea degli eventi prioritari: parla il capo dello Stato, e serve la valentìa della stampa libera per raccontare l’umanità di questo presidente che rinuncia perfino al barbiere.