Colonna monumento

Come si sottolinea sempre più di frequente nei giornali e nella pubblicistica di settore contemporanea, Lega e Movimento Cinque Stelle – e tutti i partiti e leader dell'internazionale nazionalpopulista – non sono partiti antidemocratici ma, al contrario, partiti antiliberali, perché le loro narrazioni vincenti assolutizzano il principio democratico («la sovranità appartiene al popolo…») a discapito di quello per l'appunto liberale («… che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione»).

Secondo il premier Giuseppe Conte proprio il secondo comma dell'articolo uno della Costituzione ne certificherebbe la natura "sovranista". Ma il sovranismo – e cioè la versione postmoderna del nazionalismo: protezionismo, antieuropeismo ecc – è del tutto estraneo alla nostra Costituzione che è, al contrario, internazionalista e sovranazionalista (artt. 10, 11, 117 fra gli altri; nella fattispecie, quello internazionalista è annoverato fra i principi supremi dell'ordinamento: è insuscettibile di revisione), mentre la sovranità cui fa riferimento il premier è intesa come fonte di legittimazione del potere degli organi costituzionali: piegarla a una lettura antieuropeista significa, inevitabilmente, mistificarla.

I trattati internazionali e sovranazionali sono anch'essi, come la Costituzione, potenti anticorpi dell'ordinamento contro il permanente rischio di dittatura della maggioranza (questa la celebre e profetica espressione coniata un paio di secoli fa da Alexis De Tocqueville). Si limita l'individuo-massa per salvaguardare l'individuo-cittadino: è lo scontro tra la sacralizzazione romantica e storicista dello "spirito del popolo" (ieri alla base del nazionalismo, oggi del sovranismo) e la pretesa di assolutezza e universalità dei diritti umani (i trattati internazionali e la nostra Costituzione sono figli della stagione giusnaturalistica post-bellica): in tal senso la deformazione del concetto di "sovranità" fatta dal premier è assai indicativa.

Matteo Salvini e Luigi Di Maio intendono – o meglio: vendono – il mandato elettorale come investitura divina (in quanto popolare) che consentirebbe loro di farsi beffe non solo della Costituzione (che è sempre stata stretta ai pentastellati: libertà di espressione, funzione rieducativa della pena, giusto processo ecc) e dei trattati internazionali, ma perfino dell'aritmetica e più generalmente della realtà. La "manovra del popolo" è ipso facto giusta, chiunque ne eccepisca la fattibilità o la pericolosità deve candidarsi ed essere plebiscitato dagli elettori per essere preso in considerazione, si tratti di Bankitalia o di Tito Boeri.

Salvini sposa questa narrazione per ragioni essenzialmente pragmatiche: la Lega, specie nell'attuale stagione post-secessionista, non ha alcuna precisa evoluzione o involuzione istituzionale quale ragione sociale; questo, beninteso, non ne ridimensiona la pericolosità: il nichilismo ideologico e dunque la riciclabilità politica dell'ex partito del nord pagano, liberista ed europeista oggi riscopertosi cattolico, spendaccione e sovranista probabilmente consentirà a Salvini di ingrassare oltremisura capitalizzando l'eventuale crollo verticale del M5S, molto più vulnerabile alla volatilità elettorale.

Il superamento della democrazia rappresentativa – a vantaggio di una e-democracy plebiscitaria: tutto può esser deciso dal cittadino-utente con un click – è invece iscritto nel codice genetico del grillismo: Casaleggio individuò proprio in Rousseau e nella sua proto-totalitaria assolutizzazione della "volontà generale" i pilastri del Movimento Cinque Stelle, battezzando col nome del filosofo ginevrino la mal funzionante piattaforma digitale che nella distopia grillina è destinata a esautorare il Parlamento.

È vero, anche Berlusconi era solito brandire la legittimazione popolare quale passepartout per giustificare politicamente – oltreché giuridicamente, quando i suoi legali ci sono riusciti – il tentativo di eludere i processi a suo carico, ma non occorre essere degli ultras del berlusconismo per comprendere che tale atteggiamento non sottendeva una qualche ostilità ideologica ai contropoteri in quanto tali: era una strategia (illegittima nella misura in cui rispose con leggi ad personam… a inchieste ad personam) di difesa contro una parte politicizzata e interventista della magistratura inquirente.

La delegittimazione sistematica di chiunque cerchi di arginare i danni dello tsunami giallo-verde – si tratti della stampa, di Bankitalia o perfino del Capo dello Stato, contro il quale, è bene non dimenticarlo, qualche mese fa è stata minacciata la messa in stato d'accusa – ha tutt'altra natura e tutt'altra intensità.

La resistenza antipopulista dovrà partire proprio dalla ri-legittimazione del parlamentarismo e più generalmente di quella Costituzione già materialmente "riformata" (o, meglio, deformata) secondo i pericolosi dettami del verbo antiliberale e sovranista che va per la maggiore.